Così sono i sogni sognati dagli artisti

nostro inviato a Perugia

Il sogno, la visione, il bizzarro, il fantastico, il rimosso. Sono territori metafisici fertilissimi per la creatività: nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella pittura. Anche l’arte più realistica genera sogni. E anche il sogno più irreale quando diventa arte appare vero. «Noi siamo della stesa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sogno», recita Prospero nella Tempesta. E lo scrive William Shakespeare, la cui stessa esistenza è la più irreale della storia della poesia.
Tra incubi, desideri, illusioni, deliri - tutte le espressioni possibili del sogno - si apre e si chiude, come una pièce surreale, la mostra Il Teatro del sogno (fino al 9 gennaio), messa in scena dal curatore Luca Beatrice nello scenario più incongruo e quindi perfetto che si potesse immaginare per un’esposizione del genere: la Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia, sacrario dell’arte antica che oggi, con un curioso cortocircuito creativo, si contamina con il contemporaneo. Le stranezze del mondo dei sogni e di quello dell’arte.
La mostra, strana e bellissima come tutti i sogni, non ha un centro, non segue un senso, non è cronologica. Lo stesso sottotitolo «Da Chagall a Fellini» non offre punti di partenza né di arrivo, ma solo suggestioni: si apre con un Boccioni pre-Futurista e si chiude (ma è davvero così?) con uno spin painting di Damien Hirst. Un intero secolo di vagheggiamenti.
Il percorso, trattando l’impalpabile materia di cui sono fatti i sogni, non segue fili logici, ma si snoda in un labirinto di pannelli blu-Chagall in cui ci si perde e ci si ritrova, col rischio di lasciarsi magari un’opera alle spalle, ma anche con la possibilità di trovarsene qualcuna davanti inaspettatamente. L’idea è folle, nella sua lucidità: mostrare come gli artisti vedevano i sogni. Che sono sempre stati sognati dall’uomo, ma che vengono studiati e psicanalizzati solo quando Sigmund Freud scrive L’interpretazione dei sogni, nel 1899. Ossia negli anni - poco dopo o poco prima - delle incisioni notturne di Max Klinger; delle opere del “trio” italiano Previati-Nomellini-Boccioni che espongono (nella Sala del Sogno) alla Biennale di Venezia del 1907; del capolavoro La lotta dei centauri di Arnold Böcklin, un artista che influenzerà molto Giorgio de Chirico, qui esposto di fronte (allo specchio?) al fratello Alberto Savinio.
Dalla metafisica al surrealismo, e dalla pittura al cinema. Ci sono, in videoproiezione, i film surrealisti di Luis Buñuel Un chien andalou (ricordate la scena dell’occhio tagliato?) e L’âge d’or, del 1929 e 1930; ci sono due «sogni» di Salvador Dalí, celebrato in questi giorni a Milano; ci sono due prove di automatismo psichico di André Masson; e c’è - come fosse un intruso, tipico di ogni sogno - un’acquaforte del 1937 di Pablo Picasso, Sogno e menzogna di Franco, in cui già si intravede il Guernica... Poi ci sono i quadri lunari e melanconici (quattro opere fantastiche degli anni Quaranta-Cinquanta) di Paul Delvaux; c’è il surrealismo «ufficiale» di Magritte e Max Ernst; ci sono Marc Chagall, Joan Mirò, Paul Klee (il suo acquerello Le tre piramidi, del ’29, è un vero miraggio), c’è la sequenza del sogno disegnata da Dalì per il film Spellbound del ’54 di Alfred Hitchcock, e poi c’è l’incredibile nucleo di fotografie di Man Ray che ritraggono i manichini surrealisti realizzati nel 1938 a Parigi dai suoi amici: Léo Malet, Marcel Jean, Yves Tanguy, Joan Mirò...
Dal surrealismo all’assurdo e dal sogno al sonno: in una saletta si assiste al film (intitolato Film...) scritto da Samuel Beckett e diretto da Alan Schneider nel ’65, con un attore unico, Buster Keaton, sempre ripreso di spalle. E in un’altra sala, uno di fronte all’altro, due video silenziosi: Sleep, in cui Andy Warhol nel ’63 riprende il suo amico John Giorno che dorme per 321 minuti di fila (qui tagliati a un’ora) e David Beckham Sleeping in cui l’artista britannica Sam Taylor-Wood filma voyeuristicamente, nel 2004, il sonno della più grande star della nostra epoca. E due anni prima era uscito il film Sognando Beckham...
A proposito di cinema. Un’intera sezione della mostra è dedicata a Federico Fellini, per Luca Beatrice «il più grande surrealista italiano», con le pazzesche tavole del suo Libro dei sogni (in un foglio c’è anche una caricatura dell’avvocato Agnelli, sognato dal regista nell’ottobre del ’75 mentre gli preparava, in un castello, degli spaghetti «non troppo straordinari, ma discreti») e un montaggio-omaggio delle sequenze più oniriche dei film del Maestro, da La dolce vita (1960) a La voce della luna (1990). E, alla fine del viaggio, spuntano, a sorpresa, le donne enormi e surreali di Fernando Botero, così simili a quelle di Fellini.
Dopo, non resta che addentrarsi negli accidentati territori del post-contemporaneo, cui la mostra riserva le due sale superiori, al di là e al di sopra dei sogni.

Da una parte la transavanguardia italiana: il bronzo Il dormiente di Mimmo Paladino, il fiabesco Bar Tintoretto di Sandro Chia. Dall’altra le artist-star internazionali: una video-scultura di Tony Oursler, un’installazione in vetro di Jan Fabre, un billboard di Felix Gonzalez-Torres. Ma qui l’arte ormai è un concetto, e il sogno solo un’ombra.

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