Così la spia italiana cercava di raccontare la sua verità agli 007

Così la spia italiana cercava di raccontare la sua verità agli 007

Mario Sechi

da Roma

Poteva mancare all’appello della guerra di spie del Niger-gate il Kgb, o meglio il ritinteggiato Svr? Certo che no, perché nel giugno del 2004, nel pieno della bufera sul dossier delle lettere taroccate, gli agenti del Sismi, convinti che Rocco Martino stia ancora collaborando con i servizi segreti francesi e il suo allontanamento dalle «piscine» sia un bluff, si ritrovano alle prese con i contatti del free lance dello spionaggio. Probabilmente i servizi segreti italiani pensano che Martino voglia vendere anche a loro il carteggio nigerino, ma in realtà - come appurato dal Giornale - si trattava di un semplice «contatto» con un diplomatico che era stato presentato a Martino da un giornalista russo. Fine. I russi sono a caccia anch’essi di notizie, Martino fa il suo «mestiere» e anch’egli è a caccia di informazioni che poi rigira al miglior offerente. Gli agenti italiani della «Foresta» di Yesenevo vantano nel nostro Paese una rete di prim’ordine, ricostruita dopo le falle aperte dalle rivelazioni del dossier Mitrokhin. Una struttura sulla quale da mesi è in corso una delicatissima inchiesta di controspionaggio. Fin qui solo un’apparizione, quella dell’ex Kgb.
Martino, che avrebbe familiarità con svariate stazioni di intelligence in Italia e all’estero (tra l’altro vengono segnalati i suoi contatti con agenti della Direction de la surveillance du territoire-Dst, del Marocco e il Mukhabarat al-Aama egiziano) viene seguito ovunque dall’Ottava divisione del Sismi mentre scarrozza le sue carte per mezza Europa a bordo della sua Mercedes. Fa sempre la spola con i suoi referenti principali: i servizi segreti francesi della Dgse che hanno un loro ufficio all’interno dell’ambasciata francese a Bruxelles. Seconda apparizione importante, a Bruxelles: nel 2003 Rocco Martino prova a piazzare non le lettere come molti fino a ieri hanno pensato, ma la sua «versione dei fatti» alla sede diplomatica britannica. Le carte sono dell’ambasciata nigerina sono già state «bruciate», ma le informazioni, la «verità» di cui dispone Martino, possono tornare utili all’intelligence di un paese come la Gran Bretagna. Casca nel vuoto perché gli inglesi sanno tutto: il Sismi ha già informato l’Mi6 che chiedeva lumi.
Occhio alle date. Siamo nell’agosto del 2003, il governo inglese ha già reso pubblico il 24 settembre del 2002 il suo white paper sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Il 7 luglio del 2004, dopo sedici mesi di investigazioni (ben undici mesi dopo il tentativo di Martino di piazzare le lettere nella buca di Londra) la commissione d’inchiesta parlamentare presieduta da Lord Butler di Rockwell conclude che l’allarme britannico sul Niger e l’Irak «was well founded», era ben fondato. Leggere le conclusioni della commissione Butler a pagina 125, paragrafo 503, punto d: «Al momento in cui sono state fatte le valutazioni, quei documenti falsi non erano a disposizione del governo inglese, sicché il fatto che fossero falsi non le indebolisce». Elementare, Watson. Non per Repubblica e per il gruppo di blogger e giornali della corazzata americana liberal che ha sostenuto (e continua a sostenere) l’insostenibile leggerezza delle loro prove, ovvero che i documenti taroccati dell’ambasciata nigerina a Roma erano a disposizione di inglesi e americani già nel 2001. Due commissioni d’inchiesta stabiliscono il contrario. Il link tra l’Italia e il fattore scatenante la guerra (l’uranio dal Niger all’Irak) finora è labilissimo. Anche ieri il Consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca, Stephen Hadley ha spiegato che «nell’incontro del 9 settembre 2002 alla Casa Bianca al quale prese parte il direttore del Sismi Nicolò Pollari, non si discusse di uranio del Niger e non furono fatti circolare documenti». «Ho riguardato i miei documenti - ha detto Hadley - ho parlato con persone del mio staff che possono avere una memoria di quel meeting. Posso dirvi cosa è emerso da questa verifica. C'è stato un meeting a Washington quel giorno, ho preso parte a quell’incontro. È durato meno di 15 minuti. È stata una visita di cortesia. Nessuno che ha partecipato a quel meeting ha alcuna memoria di una discussione sull’uranio o alcuna memoria di documenti che siano passati di mano. E questo è anche ciò che ricordo io». «Era un incontro di cortesia - ha insistito Hadley - del tipo di quelli che si organizzano per conoscere persone che saranno colleghi».

A chi gli chiedeva chi abbia ricevuto, nel governo americano, i documenti falsificati, Hadley ha spiegato che sono arrivati «al Dipartimento di stato nell’ottobre 2002, non al Consiglio per la sicurezza nazionale» e sono stati «condivisi con la Cia», seguendo un iter e passaggi che sono «di dominio pubblico».

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