Così umana, così divina: la forza della "natività"

Giotto, Caravaggio, Raffaello, Gaudenzio Ferrari rivelano il mistero che si cela nella semplicità

Così umana, così divina: la forza della "natività"

Gli Dei si immaginano più grandi, più forti, più belli degli uomini. Sono esempi di perfezione, di coraggio, di virtù e stanno sopra di noi: ci guidano, ci proteggono. Lo aveva ben inteso il grande filosofo Senofane che sentiva gli Dei come proiezioni dei desideri e delle visioni degli uomini: «Gli uomini credono che gli Dei hanno avuto nascita e hanno voce e corpo simili a loro». Ed è Senofane che immagina come li rappresenterebbero: «se i buoi, i cavalli e i leoni avessero mani o potessero dipingere e compiere opere che gli uomini compiono con le mani, i cavalli dipingerebbero immagini degli dèi simili ai cavalli, i buoi simili ai buoi, e plasmerebbero i corpi degli dèi simili all'aspetto che ha ciascuno di essi gli Etiopi dicono che i loro dèi sono camusi e neri e i Traci dicono che hanno gli occhi azzurri e i capelli rossi». Così, nel mondo pagano le divinità sono le proiezioni della nostra idea di perfezione: Giove il potere, Venere la bellezza, Marte la forza, Minerva l'intelligenza, Mercurio la furbizia, e le statue antiche ne sono la rappresentazione. Gli Dei sono lontani, grandi, irraggiungibili. La religione cristiana propone un rovesciamento, e sostituisce alla forza e alla potenza l'amore. Il primo atto è mostrarsi come una religione dell'uomo, non degli Dei. Dio è uno e ha un principio di onnipotenza nella sua essenza stessa; ma il suo primo atto davanti a noi non è la creazione, che è data, ma nel farsi creatura, nel farsi uomo. Dio è Cristo e Cristo è un uomo nato da una donna semplice e umile. La sua forza è condividere la vita e il destino degli uomini, e questo presuppone un dialogo, un accordo fra l'indefinita realtà che è Dio e la Vergine nei termini che Dante descrive nella preghiera di Bernardo nell'ultimo canto del Paradiso.

«Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d'eterno consiglio. / Tu sei colei che l'umana natura / nobilitasti, sì che il suo fattore, / non disdegnò di farsi tua fattura. / Nel ventre tuo si raccese l´amore, / per lo cui foco nell'eterna pace, / così è germinato questo fiore. / Qui sei a noi meridiana face, / di caritate e giuso intra i mortali / sei di speranza fontana vivace. / Donna, sei tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia e a te non ricorre, / sua disianza vuol volar senz'ali. / La tua benignità non pur soccorre / a chi dimanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre. / In te misericordia, in te pietade, / in te magnificenza, in te s'aduna, / quantunque in creatura è di bontade».

È il tema dell'annunciazione, l'inizio della storia. Più di ogni altra religione il Cristianesimo si esprime in rappresentazioni, in racconti tratti dai Vangeli che illustrano la vita di un uomo a partire della nascita; ma, tecnicamente, l'icona più rappresentata, e oggetto di sconfinata devozione, è la Madonna con il bambino, la «Natività», sia come descrizione sia come adorazione della nascita di Cristo. La sua sintesi è nella immagine della madre che tiene in braccio il bambino. A ben vedere non c'è nulla di divino. L'a priori della concezione è dietro l'immagine. Tutto quello che noi vediamo è una mamma con il figlio: ne apprezziamo la quantità e la varietà degli stili di maestri sommi e di artisti minori. Ma le ragioni di culto si risolvono nel rispecchiamento di un momento fondamentale della vita dell'uomo: la nascita. La religione cristiana non mostra il potere di Dio ma la semplicità degli affetti tra la madre e il bambino, in Giotto come in Pietro Lorenzetti, come in Vitale da Bologna, come in Giovanni Bellini, come in Raffaello, come in Bronzino, come in Caravaggio. Non c'è niente da aggiungere né niente da variare se non per l'identità dello stile dell'artista. Il soggetto è primario, ed è semplicemente la vita. Soltanto un grande maestro come Piero della Francesca arretra rispetto alla dichiarazione degli affetti e della tenerezza fra la mamma e il bambino, mostrandoci quella Madonna del parto che, nella Chiesa di Momentana a Monterchi vicino a Borgo San Sepolcro, rappresentava l'augurio per una buona maternità. Ma anche in questo caso si tratta della celebrazione dell'atto più naturale della vita, che indica la distanza fra le divinità pagane e il Dio Cristiano, che non è altro che l'uomo nel momento più fragile della sua vita: l'infanzia. Ed è qui la forza del Cristianesimo, in questa icona della semplicità della vita. Perfino nel momento più terribile, la passione di Cristo, la morte come atto finale di una umana vita esemplare, il tema della maternità è presente e riporta tutto alla condizione umana. Lo vediamo in quel dipinto formidabile che è la Crocefissione nella cappella più alta del Sacro Monte di Varallo, capolavoro di Gaudenzio Ferrari. Ci dice tutto la descrizione di un critico d'arte, devoto, profondamente cristiano e quindi integralmente umano, come Giovanni Testori. Nei volti delle madri e dei bambini, dalle guance rosse, già si sente l'aria di montagna, si vede un popolo laborioso e devoto: «Le cose; le figure; i visi; i bambini giocondi e bellissimi; i signorotti opimi; i cani; i cavalli; i cavalieri; le madri; le ragazze; i giovani; gli stendardi; le carni tenere, rosa; quelle tese e gonfie per troppa, vitale maturità; le barbe bianche; le capigliature così celesti, così paradiso, da sembrar aureole... E tutto dato come nell'amplitudine d'un respiro che differenzia e accomuna. Cuori che battono; apprensioni; paure; ingorde alterigie; menti appannate dal troppo avere; spaventi; orrori; presagi; improvvise tristezze; malinconie. E quel riflettersi, in tutti, dell'agonia di chi muore e dello strazio di chi assiste.

Gli anni d'un paese; le antichità d'una valle; tempi e tempi di storia umana e dunque di sofferenza e di gioia, di letizia e di dolore». Difficile dimenticare queste parole, che accompagnano come un sussurro la esaltante e commovente visione.

Madonna e Gesù, madre con il bambino.

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