
Se c'è qualcosa che caratterizza la lettura del Settecento è il fiorire di una vivace e feroce ironia. Le polemiche tra intellettuali e scrittori assumono quella forma che manterranno sino alla contemporaneità. Almeno fino a quando la polemica letteraria non è stata sostituita dalla invettiva sui social, dove l'intellettuale, a volte, si distingue a stento dal peggiore degli haters. E non è questione di cattiveria, bensì di linguaggio e di spirito. Perché nel Settecento su come essere cattivi sapevano tutto. Di questo genio satirico del Settecento ci regala due begli esempi l'editore La vita felice che ha appena pubblicato due volumetti, spassosamente acidi: Il modo più sbrigativo di sopprimere i dissidenti di Daniel Defoe (1660 - 1731) e Il Tempio del gusto di Voltaire (1694 - 1778).
Partiamo dal pamphlet di Defoe, tradotto da Marta Suardi con testo inglese a fronte. Si tratta di un testo satirico pubblicato per la prima volta nel 1702. È una delle opere più controverse di Defoe, scritta durante un periodo di grande tensione religiosa e politica. All'epoca, infatti, l'Inghilterra era divisa tra la Chiesa anglicana (la chiesa ufficiale) e i "dissidenti" (protestanti anticonformisti che ne rifiutavano l'autorità). La maggioranza anglicana spesso considerava i dissidenti una vera e propria minaccia alla stabilità sociale e politica del Paese. Defoe era egli stesso un dissidente. E scrisse l'opuscolo con intento satirico, imitando la retorica estrema degli anglicani della Chiesa "alta" che invocavano misure severe contro i ribelli. Il suo tono canzonatorio doveva mostrarne gli eccessi con frasi come: "Quanti milioni di anime future salveremmo dall'infezione e dall'illusione se l'attuale razza di spiriti avvelenati fosse eliminata dalla faccia della terra!". Inizialmente il testo fu preso alla lettera da molti anglicani, che addirittura ne lodarono l'apparente invito a perseguitare i dissidenti. Tuttavia, quando divenne chiaro che l'opera era una satira, Defoe dovette affrontare una dura reazione nei suoi confronti. Fu accusato di sedizione e diffamazione e, nel 1703, fu arrestato e imprigionato.
Nel caso di Voltaire, invece, tradotto da Vittoria Carli, siamo di fronte ad una polemica squisitamente letteraria. Il Tempio del gusto, pubblicato in forma anonima nel 1733, fu oggetto di scandalo per la sua irriverenza. Il filosofo, impugnato il fioretto tagliente della satira, immagina un viaggio allegorico verso il "Tempio del gusto" in cui il protagonista, il cardinal de Polignac, guida il narratore. Aperto solo a pochissimi eletti, ne è escluso un gran numero di intellettuali: i colti e i preziosi, gli innovatori estremi e ridicoli. La gerarchia letteraria che regna nella società francese del tempo viene ribaltata e aspramente criticata. Per farne parte, infatti, coloro che sono considerati grandi scrittori sono obbligati a correggere le loro opere o addirittura a bruciarle.
Alternando prosa e verso, quest'opera mette in atto una critica letteraria condita di vivacità intellettuale in grado di far divertire e al contempo riflettere. Se al posto del tempio del gusto si mettono certi ninfei stregati di oggi, si vede che il mondo è poco cambiato.MSac