Cosa c’è dopo la fine del mondo

Tra i fan del catastrofismo l’ultima moda è teorizzare come sarà la Terra una volta scomparso l’uomo. Libri, film e un avveniristico parco a tema sugli animali del futuro

Cosa c’è dopo la fine del mondo

Milano - È un pomeriggio qualunque, gli abitanti del pianeta Terra sono impegnati come sempre a lavorare, mangiare, rubare, intrigare e fare all’amore, quando una voce rimbomba nel cielo: «Alle 18 comincia il Giudizio universale».

È l’indimenticabile momento cruciale del film in cui Cesare Zavattini dà la sua versione dell’atto finale per l’umanità. Ed era una lettura piena di ironia, proprio ciò che manca alla nuova ondata di millenaristi, per i quali la fine della nostra permanenza su questo pianeta è una realtà ineluttabile e anche prossima, dunque da prendere decisamente sul serio.

La fine del mondo è di moda. Oltre alle urla quotidiane degli ecologisti della catastrofe, lo rivela il numero di libri, mostre e film che affrontano l’argomento. Come «Il mondo di domani: scenari di una catastrofe globale», il volume di Yannick Monget, non ancora uscito in Italia, che ricostruisce fotograficamente un mondo in cui l’umanità è stata spazzata via: la torre Eiffel, ci mostra l’autore, diventa uno dei pochi manufatti umani che emerge dalle acque. Immancabili poi i testi che riprendono la profezia Maya che fissa il nostro capolinea al 21 dicembre 2012.

In Francia, una mostra organizzata dal Futuroscope di Poitiers, propone un safari interattivo tra gli animali di domani che raccoglieranno la nostra eredità: come il «Caracoureur», una specie di struzzo con artigli da dinosauro. Oppure «l’Oisson», mezzo uccello e mezzo pesce. La mostra dal punto di vista tecnologico è strabiliante, perché si serve di una tecnologia futuristica, la realtà «aumentata», che permette di interagire con gli animali immaginari in modo ancor più coinvolgente della realtà virtuale. L’esposizione è costruita immaginando esseri mutanti che si impadroniscono di mari e foreste, diversi a seconda dei milioni di anni passati dalla scomparsa dell’uomo dalla Terra: 5, 100 o 200 milioni di anni.
Un meccanismo analogo è alla base dello studio del giornalista scientifico Alan Weisman, raccolto nel libro «Il mondo senza di noi» (ed. Einaudi).

Analizzando le dinamiche dell’erosione terrestre, delle precipitazioni e dei vari eventi naturali in zone disabitate, Weisman elabora una sorta di cronologia dell’Apocalisse, una scaletta passo passo della sistematica distruzione di quanto sei miliardi di esseri umani hanno fatto. Ma tutto sommato è consolante: per cancellare ogni traccia dell’uomo ci vorrebbero ben 10 milioni di anni. Chissà che delusione per i profeti della catastrofe imminente.

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