La Costituzione è molto utile ma non immutabile

Caro dottor Granzotto, giorni or sono le scrissi per chiederle di chiarirmi a cosa serve una Costituzione, perché io, da perfetto ignorante, non lo capisco. Oggi leggo una sua risposta al lettore Ferruccio Traverso in cui lei spiega come nacque la Costituzione italiana. Deducendo da questo che a lei il tema «Costituzione» interessa, torno a chiederle chiarimenti su di un punto che ieri mi è stato comunicato da un amico: la Gran Bretagna non ha una Costituzione. I miei dubbi (da ignorante) si sono centuplicati e, nuovamente, le chiedo: a cosa serve una Costituzione se una Nazione di ineccepibile impostazione democratica può farne a meno?
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L’Inghilterra può fare a meno della Costituzione proprio perché è una nazione non solo di ineccepibile, ma anche di lunga tradizione democratica, caro Guastamacchia. Ma chi non ha alle spalle simili virtuose tradizioni ha sentito il bisogno di dotarsi di una legge fondamentale che definisca, oltre all’ordinamento politico dello Stato, i diritti e i doveri (i valori e i princìpi, per dirla nel gergo politicamente corretto che ha messo al bando la parola «dovere») dei cittadini. Ecco, in parole povere, a cosa serve la Costituzione, caro Guastamacchia: a definire il carattere di uno Stato. Proprio perché è figlia del suo tempo (e talvolta anche figlia di una ideologia), non c’è costituzione che non invecchi e che quindi abbia bisogno di rettifiche. Per fare un esempio di quelli che pesano, la molto tosta, molto solenne Costituzione dell’Urss del 1936 - detta comunemente la «Costituzione di Stalin» - dovette essere riscritta nel ’77 (e mandata in archivio nel ’90). La sempre citata Costituzione degli Stati Uniti - esemplare non foss’altro che per il secco preambolo: «Noi, il popolo» - è stata emendata, cioè aggiornata, corretta, ventisette volte. Quella francese, che pure si richiama spiritualmente all’epopea rivoluzionaria, è stata addirittura riscritta nove volte. Quella tedesca ha avuto oltre cinquanta aggiustamenti o modifiche. Potrei continuare con gli esempi, ma questo basti per concluderne che le costituzioni, anche le più catafratte, sono inesorabilmente destinate a subire revisioni. E questo anche se, come è il caso nostro, la Costituzione «nasce» dalla Resistenza; questo anche se, è sempre il caso nostro, essa risulterebbe essere «la più bella del mondo». Tanto bella da comprendere - articolo 138 - le procedure per una sua riforma, a conferma che primi a non riconoscerne l’immutabilità furono proprio coloro che la elaborarono.
Resta da fare una precisazione: a sentire quei «sinceri democratici» che oggi si fanno venire le convulsioni a ogni accenno di riforma costituzionale (per altro già attuata al Titolo V) i «padri costituenti» rappresentavano la crème de la crème dalla società, illuminati dallo Spirito Santo laico e dunque virtuosi, saggi, competenti e, soprattutto, infallibili. Nella realtà essi erano degli uomini di partito, con le rispettive qualità e difetti, competenze e ignoranze, eletti in una consultazione elettorale non diversa da quelle che seguirono: 207 democristiani, 115 psiuppini, 104 comunisti, 41 liberali, 30 dell’Uomo Qualunque, 23 repubblicani, 16 monarchici, 7 azionisti, 4 autonomisti siciliani, 2 della Concentrazione democratica, 2 del Partito Sardo d’Azione e uno a testa per il Partito dei Contadini, il Movimento Unionista, il Partito Cristiano Sociale e il Partito Democratico del Lavoro.

La Costituzione ha dunque anche un’anima monarchica, anche un’anima qualunquista, con buona pace di chi la vuole intoccabile perché rampollata dagli ideali repubblicani e progressisti della così detta guerra partigiana di liberazione.
Paolo Granzotto

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