Oliviero Toscani, lei è un simbolo della creatività pubblicitaria, le sue campagne hanno fatto storia. Cosa c'è di nuovo in giro?
«Guardi, purtroppo oggi la creatività non è affatto la cosa più importante. Il problema è il mercato. Le agenzie pubblicitarie sono in mano a manager che cercano solo di non perdere il cliente. Quando si cerca il consenso si crea solo mediocrità».
Eppure oggi si vedono manifesti ai limiti dell'incredibile. Pettini giganti che districano fili della luce, rasoi per uomo in formato maxi che tagliano il prato... Questa non è creatività?
«Sono giochini, stratagemmi che si limitano al mero fatto estetico. Ma non ci si può fermare al colore, alla forma, avere come unico scopo il divertimento. Il fine ultimo dev'essere rappresentare la condizione umana».
Addirittura.
«Certamente, perché il produrre e il consumare sono due dimensioni importanti dell'esistenza umana, e allora non si capisce come mai le pubblicità debbano essere imbecilli. Bisognerebbe mettere in discussione le certezze, avere più coraggio. Nelle mie campagna ho parlato di Aids , razzismo, diversità. Cose che davano fastidio, che nessuno voleva vedere».
La provocazione a ogni costo?
«Ma cosa vuol dire provocare? Per me significa suscitare interesse, intrigare culturalmente. Non occorre essere drammatici ma senz'altro la pubblicità, che è una forma di comunicazione e quindi di arte, deve toccare il cuore, il cervello. Senza rinunciare a essere anche divertenti a volte».
Come sta la pubblicità in Italia?
«È tutto molto monotono e piatto. Siamo peggio di greci e portoghesi, in fatto di creatività.
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