Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom-Cgil. I rapimenti dei manager...
«Non sono rapimenti e nemmeno atti di terrorismo».
E cosa sono?
«Sono semplicemente gli operai che si trattengono negli uffici come protesta, ma non c’è nessuna forma di sequestro. Al massimo il blocco delle portinerie del posto di lavoro. In Italia, in passato è successo molte volte».
È una montatura dei media?
«Oggi se ne parla perché all’improvviso la rabbia operaia fa audience. Poi adesso proprio per questa amplificazione mediatica, c’è un effetto emulazione».
Niente sostanza? Si tratta di uno show o poco più?
«La sostanza c’è. E cioè che ci sono grandi aziende multinazionali che dalla mattina alla sera licenziano lavoratori. Loro non vogliono essere trattati da numeri. E si arrabbiano».
E rapiscono i manager.
«Nessun rapimento».
Guardi che gli amministratori della Fiat a Bruxelles, quelli in Francia o in Olanda, non potevano muoversi.
«Se avessero preso qualcuno e lo avessero spostato, se gli avessero fatto violenza, allora sarebbe stato un rapimento».
Però lei questa forma, diciamo, di occupazione degli ingressi, la comprende...
«In Europa oggi il licenziamento significa disoccupazione, la distruzione di una condizione sociale. La perdita di tutte le elementari forme di sicurezza. Cose che nel Vecchio continente hanno ancora un significato. Di questo bisognerebbe discutere».
Per arrivare a cosa?
«Una moratoria in tutta Europa, dei licenziamenti e delle delocalizzazioni. Se l’Europa vuole agire dovrà partire da qua, anche perché fino a ora ha aiutato solo le banche».
Torniamo ai manager, diciamo intrattenuti. Ha visto che anche la Fiat è stata colpita...
«Sì, ed è inaccettabile che abbiano detto che non trattano».
Beh di fronte a una protesta del genere, non hanno accettato il ricatto...
«I sindacati belgi sono tra i più antichi. E poi sono socialdemocratici e riformisti, mica appartengono a un qualche fronte rivoluzionario. Se arrivano a questo significa che la base è esasperata».
Perché?
«Dopo tanti anni di abitudine a una certa passività, il mondo del lavoro si sta arrabbiando».
Sembra di sentire certe tesi che vanno di moda in Francia. Sta arrivando una rivolta generalizzata anche in Italia?
«Rispondo citando Rinaldini (il segretario generale della Fiom, ndr). Se la Fiat con quel “non trattiamo” voleva fare una battuta, bene. Ma se pensano di chiudere Pomigliano, ci vorrà l’esercito per fermare la rabbia sociale dei lavoratori».
Ci sono esuberi in tutti i settori...
«Le grandissime aziende e le multinazionali stanno dimostrando meno senso di responsabilità dei piccoli industriali, che stanno con i lavoratori e spesso soffrono con loro».
Eravamo partiti dai sequestri dei manager. Cosa c’entrano loro che sono dei dipendenti? Non sarà una di quelle rivolte contadine che facevano orrore ai marxisti, contro i fattori e non contro i proprietari?
«Ma il punto è proprio quello. La ribellione dei lavoratori che fanno questi sequestri è contro l’ipocrisia manageriale che li trasforma prima in risorse umane e poi in esuberi. La classe manageriale agli occhi dei lavoratori è la principale responsabile della crisi. Vogliono dimostrare che sono persone in carne ed ossa».
E commettono un reato, o qualcosa di molto vicino.
«Ripeto, non c’è nessuna violenza e di cose del genere ne sono successe a decine».
E succederà di nuovo, qui da noi in Italia?
«Assolutamente sì. Se, da un giorno all’altro, nelle grandi fabbriche si dirà ai lavoratori di restare a casa ci saranno manifestazioni di rabbia sociale di grande dimensioni, anche se non so in che forma».
A questo punto visto che alcuni giornali hanno scritto che il sequestro è «efficace», la formula belga è ipotizzabile?
«Cose del genere non si programmano a tavolino.
Sicuro? Quindi proteste estreme, ma spontanee?
«Se nessuno verrà lasciato a casa, come ha detto Berlusconi, non scoppierà niente».
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