Crespi d’Adda, la città-fabbrica reinventa il suo futuro

C’era una volta una città ideale. Un villaggio costruito dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti, con un castello, una chiesa, un lavatoio e tante case con orto e giardino, abitate soltanto dagli operai. A Crespi d’Adda - questo il nome del paesino costruito sulla riva dell’Adda, nel Bergamasco, nel 1878, dall’industriale del cotone Cristoforo Crespi - non mancava proprio nulla. Ai lavoratori dell’opificio tessile era garantita una dimora, un piccolo appezzamento di terreno, un medico, l’istruzione per i figli e lo stipendio e l’alloggio per gli insegnanti. C’era anche una piscina al coperto con docce, spogliatoi e acqua calda, e come se ciò non bastasse fu il primo paese in Italia a essere dotato di sistema di illuminazione pubblica, con il moderno sistema Edison. Insomma, Crespi d’Adda, era una cittadina perfetta, dove, quando altrove si soffriva la fame, il padrone dal castello provvedeva a soddisfare tutti i bisogni primari dei suoi salariati. Del resto, i Crespi erano una famiglia influente e illuminata, nota per essere stata proprietaria del Corriere della Sera, dai tempi della nascita del giornale.
Silvio Benigno, figlio del fondatore del villaggio, promosse negli anni Venti la costruzione delle prime autostrade del Paese e dell’autodromo di Monza, rappresentò l’Italia, come ministro plenipotenziario, ai Trattati di Versailles dopo la Prima guerra mondiale e contribuì, insieme al padre, ad abbellire l’abitato di tanti gioielli architettonici. Come la chiesa in stile rinascimentale (esatta copia di quella di Busto Arsizio, città natale dei Crespi), il cui altare, quando il portone è spalancato, è visibile dalla cima della torre.
Peccato, però, che le favole abbiano sempre una fine e che Crespi d’Adda oggi non sia più il paradiso di un tempo. È sempre un bel borgo, tanto bello e ricco di cultura da essere entrato nel patrimonio mondiale dell’Unesco, come il villaggio operaio più completo e meglio conservato del Sud Europa e come il quinto sito al mondo legato alla storia dell’industria. Il paesino però «rischia il degrado», come ammette Marco Pedroncelli, presidente dell’Associazione culturale villaggio Crespi, nata per tutelare e valorizzare il luogo, abitato da circa 400 persone, per la gran parte discendenti dei dipendenti del cotonificio e divenuto frazione del Comune di Capriate. A Crespi d’Adda non c’è più l’opificio, abbandonato dalla famiglia Crespi negli anni Venti, poi passato in mano ad altri imprenditori e chiuso definitivamente nel 2004. «Soprattutto dagli anni Settanta la proprietà della fabbrica non corrisponde più a quella della cittadina e ciò ha generato tanti problemi - lamenta Pedroncelli - i nuovi padroni hanno curato i loro interessi, senza valutare le esigenze degli abitanti».
Che Crespi d’Adda non sia più quella di un tempo lo si vede dalle condizioni in cui versa il lavatoio storico, oggi di proprietà di un’impresa immobiliare. L’associazione culturale del posto ha raccolto 2.500 firme per la sua salvaguardia e per ottenere dei fondi per il riacquisto del sito. Non è migliore la situazione della fabbrica, in totale abbandono e prossima a essere trasformata in un nucleo di moderne abitazioni e in un centro di floricoltura.
Come sempre accade, all’origine di tutto c’è la mancanza di risorse economiche per la tutela del patrimonio: «Crespi d’Adda dipende dal Comune di Capriate, un paese troppo piccolo per disporre di finanze da destinare alla valorizzazione storica e culturale – spiega Pedroncelli -. È per questo che abbiamo deciso di rivolgerci alla Provincia, alla Regione e alla Sovrintendenza ai beni culturali, ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta».

L’associazione però non si perde d’animo, continua a raccogliere i proventi delle visite guidate, nella speranza di poterli un giorno utilizzare per progetti utili, e persevera nel diffondere su Internet i disegni del borgo realizzati dai bambini del luogo. Bambini che, meglio dei grandi, sanno immaginare e ricostruire - almeno nella fantasia - la città dei sogni.

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