Cultura e Spettacoli

Crialese: «Racconto l’Eldorado agognato tra sogno e drammi»

Accolto da lunghi applausi l’opera sull’esodo d’inizio secolo. Il regista: «Ho bilanciato storia e poesia narrando il coraggio dei contadini del Sud in cerca di una nuova vita»

Stenio Solinas

nostro inviato a Venezia

«Non è un film sull'emigrazione. Forse lo era all'inizio, nella prima delle otto sceneggiature via via susseguitesi. Le riscritture si sono rese necessarie perché c'era un problema di sbilanciamento, di squilibrio, con l'elemento storico-sociologico che andava a detrimento di quello poetico. Inoltre, pur nel realismo della storia, non volevo nemmeno che la schiacciante miseria del Sud di un secolo fa, i tremendi “viaggi della speranza” per sottrarvisi, navi come carri bestiame, facessero di Nuovomondo nient'altro che un documentario. Così ho addolcito, ho omesso di proposito, ho privilegiato gli aspetti favolistici, magici quasi. Ho voluto raccontare un sogno di uomini di un'altra epoca, il loro coraggio, la loro determinazione, la meraviglia di chi non ha mai visto il mare e attraversa l'Oceano, di chi è abituato a vivere fra le pietre e vede per la prima volta i grattacieli. Un viaggio nella luna, una luna che nell'immaginazione è fatta di fiumi di latte e dove le monete d'oro cadono dal cielo».
All'ultimo giorno del Festival il cinema italiano tira fuori, per la regia di Emanuele Crialese, l'epica e il mistero, i riti e gli archetipi, l'antropologia più che la sociologia, e consegna al pubblico e alla critica, ai loro prolungati applausi, un «come eravamo» che fa riflettere senza per questo voler fare la morale. «Io sono sempre a disagio con i messaggi, non credo che lo schermo sia il loro luogo deputato. Certo, m'interessa porre e pormi delle domande, degli interrogativi: siamo la nazione che ha avuto più emigranti al mondo, un totale di venti milioni dicono gli studi in materia, e questo può aiutare a vedere con occhio diverso il fenomeno migratorio dei nostri tempi. Ma ciò che di quegli uomini allora in fuga dalla loro terra e in cerca di un destino migliore mi ha colpito, è stata soprattutto la testimonianza affidata a quelle che loro chiamavano “le parole di carta”... In gran parte analfabeti, raccontavano a casa, grazie alla penna di qualcuno più istruito, le loro sensazioni e le loro impressioni. E c'era in quelle lettere un incredibile ottimismo, un voler sempre e comunque sottolineare il positivo, la speranza».
Girato fra la Sicilia, i monti dietro San Vito Lo Capo, il Siracusano, e l'Argentina, quest'ultima per le scene di massa, 700 comparse fatte di figli di immigrati della seconda, della terza generazione, e forse per questo, nota il regista, «straordinariamente motivati, quasi fosse la loro storia», costato 14 milioni di euro, una coproduzione italo-francese e tre anni di lavoro fra la prima sceneggiatura e il montaggio finale, Nuovomondo ha una veridicità e un calore che viene anche da questo modo di lavorare. «Io non faccio film tanto per fare un film», dice Crialese. «Cercavo qualcosa di diverso, il successo ottenuto con Respiro mi spingeva a ricambiare la stima e l'affetto ricevuti con qualcosa che mi appassionasse veramente. Ho bisogno di tempi lunghi, di frequentare chi recita con me, vederlo crescere nella parte». Vincenzo Amato, il protagonista, attore e artista palermitano che vive a New York è d'accordo. «Conosco Emanuele da anni, siamo amici. Mi piace ritrovarmi davanti alla macchina da presa, ma non lo concepisco come una professione, piuttosto come una forma d'arte, simile in questo alla scultura e alla pittura che abitualmente pratico. Non dedico un anno della mia vita a un progetto solo perché mi pagano. Mi deve veramente interessare. Per essere un pastore-contadino, credibile, di un secolo fa, sono stato tre mesi nelle Madonie a imparare. Ed è stato per me come essere insignito di un titolo nobiliare».
Ricco di magia, di miti e di riti, il film racconta con mano leggera e poetica, spesso ironica, il passaggio dal Vecchio al Nuovo mondo, i test attitudinali, gli esami psicofisici, la razionalità che si scontra con le intuizioni, le credenze, le abitudini, la logica dell'accettazione e del rifiuto («Chi siete voi per dire se siamo idonei oppure no, siete Dio?» domanda ai suoi esaminatori la madre di Salvatore, il capofamiglia, la più ostile e la più estranea a barattare ciò che conosce e a cui è abbarbicata con ciò che ignora e che comunque non la affascina...). «Per chi è interessato all'altra faccia della medaglia» dice Crialese, «rimando al documentario che, sulla scorta del materiale raccolto e non utilizzato girerò.

Si chiamerà The black Drop, la goccia nera, ovvero l'elemento, chiamiamolo razziale, che nella visione eugenetica di allora, di salvaguardia del ceppo originario e dominante, discriminava gli emigranti nel loro accesso in quell'Eldorado così agognato, ma anche così spietato».

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