Roma

Criminalità Quegli «autosaloni» della camorra

Da Casal di Principe a Roma. Li hanno intercettati per due anni, ieri mattina sono scattate le manette per 40 persone, 9 agli arresti domiciliari. Le accuse? Associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, estorsioni, truffa, usura, appropriazione indebita, falso ideologico in atti pubblici, importazione illegale di auto, armi. Altre 33 persone sono indagate a piede libero. A firmare l’ordine di cattura il gip Cecilia Demma su richiesta del pm antimafia Giancarlo Capaldo assieme ai sostituti procuratori Francesco Curcio e Giuseppe De Falco della Procura di Roma e Tonino Di Bona della Procura di Frosinone.
Ottanta milioni di beni sequestrati tra Gaeta, Formia e Frosinone: autosaloni, macchine di grossa cilindrata, immobili, fondi agricoli, attività commerciali nel settore dell’arredamento e delle carni, caseifici. Questo lo scenario in cui da oltre vent’anni operava il boss casalese Gennaro De Angelis, 65 anni, intimamente legato a Francesco Schiavone soprannominato «Sandokan», capo degli scissionisti campani, assieme a Ciro Maresca, classe 1939, di Castellamare di Stabia.
Decine di faldoni quelli in mano ai carabinieri di via in Selci e della Dda capitolina che hanno avviato l’indagine grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia. L’operazione «Camorra» scoperchia le attività illecite di due grandi gruppi criminali, entrambi legati alle cosche casertane: il primo capeggiato da De Angelis e in azione nel basso Lazio, l’altro, quello di Maresca, operante nella capitale. Almeno 24 milioni di euro di Iva sottratta allo Stato a partire dal 2001, secondo gli inquirenti, importando vetture da Paesi comunitari per conto di società fantasma (truffa Carosello) emettendo fatture false. E con esse ottenere illecitamente i rimborsi d’imposta. In questo modo l’organizzazione si piazza sul mercato con prezzi competitivi, sbaragliando di fatto la concorrenza. Questa la principale attività del gruppo di De Angelis, stanziato a Cassino dagli inizi degli anni Settanta come «capo regime».
Secondo l’ordinanza di custodia cautelare: «avvalendosi della forza intimidatrice derivante dalla sua appartenenza al clan dei casalesi, il De Angelis ha costituito un proprio autonomo sodalizio criminale di tipo mafioso, riuscendo ad acquisire il controllo totale del mercato locale delle autovetture grazie a una proficua attività di importazione parallela di autoveicoli». Quanto basta per mettere in piedi un impero economico acquisendo la gestione di attività commerciali e imprenditoriali. Non solo. Per la Dda il sodalizio era specializzato anche in truffe ed estorsioni nei confronti dei concessionari che non stavano al «gioco», in particolare quelli che rifiutavano di immettere sul mercato le auto rubate o riciclate.
Stessi affari, ma in ambiente romano, per Maresca e compagni.

«In questa indagine - spiega il procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia Giancarlo Capaldo - il ruolo delle intercettazioni telefoniche è stato decisivo al fine di ricostruire i rapporti tra le persone e per conoscere nel dettaglio l'attività criminale dei clan».

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