"Le criptovalute sono un romanzo. E il mio detective fa le sue indagini"

Un libro dal piglio internazionale con temi poco affrontati in Italia: l'intervista a Vanni Santoni

"Le criptovalute sono un romanzo. E il mio detective fa le sue indagini"

L'umano che si specchia nelle arti. La coscienza che si fa collettiva. L'epica, il romanzo, il cinema. E poi il ciclo delle news che fagocita tutto. Quel ciclo sostituito dalla timeline dei social. E ora «il flusso di news direttamente false dei gruppi Telegram e WhatsApp». Così, in una delle conversazioni del suo nuovo romanzo Il detective sonnambulo (Mondadori, pagg. 348, euro 19.50), Vanni Santoni riassume in poche righe l'esaurirsi, oggi, delle correnti sotterranee che nutrono il sistema delle arti. Di ipercontemporaneo scrive Santoni aretino classe 1978, autore tra l'altro di La verità su tutto (sempre Mondadori), premio Viareggio e di Dilaga ovunque (Laterza), Selezione Campiello - in un romanzo che è storia politica, d'amore, di arte e di finanza.

Chi è il suo detective sonnambulo?

«Il titolo è un rimando a I detective selvaggi di Bolaño e a I sonnambuli di Broch. Mentre scrivevo mi sono reso conto che, sebbene mi allontanassi da entrambi, la definizione andava ancora bene per descrivere Martino, il primo dei miei quattro protagonisti. Spiantato, forse già ex studente senza saperlo, si trasferisce a Parigi con mossa incosciente: se sei giovane e squattrinato, dalla costosa Parigi verrai espulso. Si è quasi rassegnato a non avere un destino, finché non incontra l'affascinante Johanna, dalla doppia e forse tripla vita. Si innamora di lei e anche lei, a suo modo, di lui: una storia d'amore a Parigi è cliché da nouvelle vague. Non fosse che lei scompare. Ed è qui che Martino si fa detective, prima in Francia, poi in tutto il mondo. Sonnambulo perché si troverà in situazioni e trame molto più grandi di lui, in cui procederà ogni volta come risvegliandosi da un sogno per poi piombare in un altro».

Per approdare alla corte del terzo protagonista.

«Un milionario, Manfredi Contini della Torre, arricchitosi nel primo periodo delle criptovalute, Paese dei Balocchi e movimento portante del libro».

Manca solo Tanya, con il look «a mezzo tra il black bloc e l'operaia precettata in un paese occupato».

«Attivista dura e pura, quindi spigolosa. Con grande intelligenza pratica, ma meno portata a vedere il quadro ampio della situazione».

Che cosa rappresentano questi quattro?

«Il grande tema sotteso che si sviluppa nell'annosa domanda: possono gli individui influenzare la storia o le vicende individuali sono funzione di un contesto storico sociale?».

Ovvero?

«Nell'onda del presente puoi surfarci o annegare ma vai comunque in quella direzione oppure il singolo può cambiare tutto, come si chiedeva già Tolstoj con Napoleone in Guerra e pace? Con temi così tosti e un tono da commedia, ho preferito non inserire il background dei personaggi, anche se io lo conosco bene, perché volevo che questo quadrilatero fosse molto forte anche a livello simbolico. Martino, Johanna, Manfredi e Tanya sono portatori di funzioni simboliche. In particolare, Martino è il lettore stesso, ingenuo o finto ingenuo come siamo bravi a esserlo in Italia».

Il suo è stato presentato anche come il romanzo sui bitcoin e sui superricchi.

«Manfredi Contini della Torre è uno straricco d'altri tempi, come fu Carnegie, che fondò duecento biblioteche pubbliche, o Guggenheim. Oggi non sembra che ai ricchi interessi la filantropia, almeno non come mezzo per passare alla storia. A me interessava indagare un gruppo di personaggi che superricchi ci si sono ritrovati, grazie a due, tremila euro in bitcoin nel 2011 che nel 2017 si sono trasformate in un portafoglio da un miliardo di euro. Ho studiato il mondo della finanza e delle criptovalute, ho parlato con svariati criptomilionari - chi vive a Dubai, chi è in fuga dal fisco - che si sono dati disponibili su Telegram chiedendo l'anonimato per capire come vivano e come le criptovalute siano ormai uno dei tanti asset finanziari. Nella storia un arricchimento così brusco e netto per persone che nemmeno erano investitori non era mai capitato. E questo ha effetti sulla personalità. C'è chi ha perso la password di un wallet da centinaia di milioni di euro, non è più riuscito a pensare ad altro e si è ucciso».

Difficile trovare questi temi nel romanzo italiano. Come mai i suoi libri sono così poco domestici?

«Oggi l'Italia è un paese che perde miglia di laureati all'anno che vanno all'estero. La mia generazione è la prima a volare a basso costo e avere il fidanzato in un altro Paese. Un po' di internazionalismo ce lo siamo vissuto: mi sembrerebbe limitante in termini di puro realismo fare un romanzo tutto italiano. Lo strapaese mi interessa fino a un certo punto. La mia ricerca è un dialogo con autori stranieri morti».

E che nome le darebbe?

«I miei filoni di solito sono due: il romanzo puro e il romanzo saggio, in cui adotto un approccio sociologico pur mantenendo i dispositivi del romanzo. Il detective sonnambulo è un romanzo puro. Per costruirlo, sono partito da due immagini casuali, scollegate: la prima, un tizio che gira per i mercatini delle pulci a Parigi e osserva chincaglierie che evocano il periodo migliore del cinema francese.

La seconda: alcuni driver a nolo che portano ospiti nel deserto di Atacama, un luogo che conserva i più antichi petroglifi del mondo e che oggi le grandi marche di fast fashion usano come discarica delle collezioni invendute. Esplorare le contraddizioni dell'oggi ha il rischio dell'attualismo, ma è il territorio in cui mi trovo più a mio agio».

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