Poker di annotazioni fior da fiore a conclusione del primo sesto di campionato di serie A.
La prima. L'elegante e tostissimo Mimmo Criscito - autore di una prestazione anti Bari da 10 e lode - sta imponendosi quale legittimo erede dei cinque arcidifensori di fascia sinistra del dopoguerra calcistico nazionale, che ho avuto la fortuna di vedere all'opera e i cui nomi mi piace ricordare: Virgilio Maroso, Sergio Cervato, Giacinto Facchetti, Antonio Cabrini e Paolo Maldini. Complimentandomi ancora e sempre con Preziosi e Gasperini, che lo hanno eletto pedina essenziale del Grifone, da molto caldeggio limpiego fisso di Mimmo in Nazionale e sono certo che il giudizioso Prandelli onorerà il buonsenso e la realtà.
La seconda. Il genovese Gian Piero Ventura, uomo facondo dallo spiccato «sense of humour» e allenatore giustamente stimato dappertutto fuorché a Genova perché «nemo propheta in patria», così vanno le cose nel mondo, è uno dei migliori tecnici d'Europa; e se a tutti gli allenatori fosse vietato avvalersi del supporto del preparatore atletico all'emerito tecnico e ginnasiarca Gian Piero Ventura basterebbe questo Bari per vincere lo scudetto. Lui ribadisce. «Insisto ad allenare per libidine da calcio». Ed è vero. Ma vi rendete conto che a un organico modesto come quello dei Galletti pugliesi hanno tolto due colonne portanti come Bonucci e Ranocchia e lui continua a far giocare i Belmonte e i Masiello come se fossero Djalma Santos e Nilton Santos? Tanto non può andare in Champions e non va in B e dunque, visto che dovrebbe trattarsi di calcio-spettacolo, tanto vale divertirsi in prima persona, divertire il pubblico e pazienza se - di quando in quando - far divertire pure l'avversario.
La terza. Il Genoa di Gasperini, avvantaggiato in chiave campionato dall'assenza del qualificante e nondimeno stressante impegno europeo, sta corposamente crescendo. Fu brillantissimo nel primo tempo anti Fiorentina e autorevole nel primo tempo anti Diavolo, ma non resse alla distanza. È stato grande nell'andare a «vedere» con tecnica forza e coraggio la sofisticata trappola difensiva del Bari dal primo all'ultimo minuto, compresi i 45' finali disputati con un uomo in meno. «Dammi uno che pari e uno che faccia gol e in mezzo mettici chi ti pare» diceva Fulvio Bernardini, l'inarrivabile Dottore del calcio. E Gasperini è andato più in là. Ci ha fatto finalmente vedere uno che para (Eduardo) e uno che fa gol (Toni) dopo averci fatto gustare nel mezzo, come bigné, i Criscito e i Palacio, i Ranocchia e i Chico, i Rafinha e i Veloso. Ora la classifica del Grifone, che ha 2 punti in meno dell'anno scorso quando era 6° ma è perentoriamente risalito al 7° posto in compagnia di Juventus e Palermo, si è messa finalmente al bello.
La quarta. La Sampdoria di Di Carlo, svantaggiata in chiave campionato dal qualificante ma stressante impegno europeo nonché - paradossalmente - dall'ampia gratificante chiamata alle armi dell'Italia di Prandelli, sta viaggiando al 13° posto con 8 punti in meno dell'anno scorso quando era prima in graduatoria. Il fatto è che Di Carlo, che col Chievo di Pellissier ci aveva abituati a vederlo principalmente vincere (12 volte) o perdere (18 volte) nei 38 turni del campionato, con la Sampdoria di Pazzini e Cassano si è accontentato 4 volte su 6 del pareggio, 2 dei quali a reti inviolate. Il guaio - se così lo vogliamo chiamare - è che l'organico di questa Sampdoria, costruito appositamente da Marotta con 4 ali (Semioli, Mannini, Guberti e Padalino) «che volavano» a turno, due per tempo, a misura del «4-4-2» di Del Neri, è stato lasciato sostanzialmente invariato da Gasparin che si è limitato a rialzare il numero e il tasso tecnico dei rincalzi, compreso l'ulteriore esterno naturale Koman, pur sapendo che Di Carlo è un fautore abituale del «4-3-1-2»... Il guaio è che Pellissier è un velocissimo centravanti da contropiede cui va a pennello quel modulo che lo favorisce in verticale, mentre Pazzini (19 gol in 37 partite del campionato scorso) è un centravanti-centravanti che per incidere ha bisogno di servizi dal fondo, alti o bassi che siano ma rigorosamente dal fondo, altrimenti finisce avvilito spalle alla porta, vittima predestinata delle impietose sportellate dei difensori avversari. Non a caso finora ha segnato solo in Europa dove lo conoscono meno, ed è ancora all'asciutto in campionato. Naturalmente, poiché le disgrazie quando devono avvenire avvengono, Di Carlo ha pure perso in partenza Tissone e soprattutto Poli, che avrebbero potuto conferire alla sua «tre» di centrocampo guidata da Palombo dignità tecnica e sostanza decisamente superiori.
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