
C'è un precedente, legato a un momento storico che ci ha fatto tremare tutti, la pandemia. Anno 2021, covid ancora in circolazione. La Scala produsse un dittico di lavori di Kurt Weill, compositore statunitense-tedesco, destinato alle telecamere di Rai Cultura. Una serata che, a immaginarla, mette ancora sgomento: «Die sieben Todsunden» e «Mahagonny Songspiel» andarono in scena nella sala vuota, direttore Riccardo Chailly, regia di Irina Brook. L'emergenza è finita da un po', ma la memoria di quello spettacolo è rimasta, non solo per il valore artistico e la qualità del lavoro, ma anche, forse, per il suo significato simbolico.
Dunque, a distanza di quattro anni, il Piermarini ha deciso di riprendere questa «accoppiata», arricchendola con un terzo elemento, sempre dello stesso autore, i «songs» da «Happy End». Risultato: un nuovo programma inedito, per la sua composizione, storicamente frutto della collaborazione tra Weill e il poeta Bertolt Brecht. Al «trittico», alla Scala, si può assistere da stasera (ore 20) al 30 maggio, sei eventi con l'Orchestra di casa, sempre condotta da Chailly. Nutrito il cast: da Alma Sadé a Markus Werba (che torna al Piermarini nella parte del gangster Bill Cracker), una decina i protagonisti-attori. Tre storie ben raccontate, dal libretto, e ben sintetizzate dal critico musicale Cesare Fertonani: «Die sieben Todsunden», con «le sue sorelle Anna I cantante e Anna II danzatrice, in realtà due proiezioni della stessa personalità (...)»; poi «Mahagonny Songspiel», ovvero «quattro uomini che intendono raggiungere una città da sogno (...)»; infine «The Song Happy End», «il ritrovo abituale di una banda di gangsters capeggiata dalla Signora in Grigio (...)». Ogni opera possiede una storia «parallela», momenti e vicende legate a una collaborazione a dir poco feconda, tra i due grandi autori. Per esempio, nell'ultima collaborazione tra Brecht e Weill, ormai in esilio dalla Germania nazista, la compenetrazione tra i generi raggiunse il suo apice, proprio con «I sette peccati capitali del piccolo borghese» («Die sieben»), andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1933 in forma di «balletto satirico con canto». Nel suo complesso questa proposta, fatta di critica sociale, rivive in uno spettacolo, che, con le scelte della regista Brook, unisce le tre pagine in un progetto drammaturgico su un mondo portato allo stremo dallo sfruttamento e dall'avidità.
Mondo in cui è facile riconoscere un'attualità segnata dall'incombere della catastrofe ambientale, riflessa nella scelta di una scenografia realizzata con materiali riciclati. Solo al termine un barlume di speranza, rappresentato dall'inserimento della canzone «Youkali», dedicata a un'utopica isola, dove ogni desiderio trova soddisfazione.
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