Cultura e Spettacoli

Cristina Comencini si racconta fra cinema e teatro

In scena al "Manzoni" di Milano la sua piece teatrale "Est Ovest" interpretata da Rossella Falk. "Per certi versi i miei testi, come i miei spettacoli, sono autobiografici"

Cristina Comencini si racconta fra cinema e teatro

Ottant’anni con badante. Circondata da figli e nipoti durante il giorno del suo compleanno, donna Letizia (Rossella Falk interprete, sul palcoscenico del teatro Manzoni di Milano, di “Est Ovest”, fino al 29 novembre), riunisce un’intera famiglia, fratello incluso, e mentre attende il ritorno della amata quanto preferita nipote, scopre e denuncia segreti, tensioni, gioie e dolori delle nuove famiglie allargate e/o separate. Uno spaccato scritto e diretto da Cristina Comencini, con l’aiuto-regia di Emanuela Annecchino.
Signora Comencini, lei è sempre stata brava a descrivere l’evoluzione della nostra società. La fragilità degli affetti nelle persone anziane, ma anche nei giovani che la nascondono dietro una falsa spavalderia, nonché il rimpianto della famiglia tradizionale. Il suo è sempre un occhio curioso verso il cambiamento….
“Per certi versi i miei testi, come i miei spettacoli, sono autobiografici. In questo caso, così come in “Due partite”, ho riprodotto i modelli della mia infanzia e parte della mia vita fino a oggi. Mia madre, per esempio, una volta alla settimana, giocava sempre a carte… Io faccio parte di una generazione che si è separata con dolore e conosco bene come soffrono i ragazzi, nonché i comportamenti di questa nuova generazione che ha tutto da inventarsi, modelli inclusi”.
Lei è una bella donna, dinamica ed esprime forza e coraggio. Qual è il suo segreto?
“Andando avanti, o meglio guardando avanti, qualche cosa si perde sempre. Come donne vogliamo emanciparci e contemporaneamente non rinunciare alla maternità, ma ci vuole abilità a trovare la soluzione che ti consenta di fare entrambe le cose e molto dipende dall’uomo, dalla persona che ti sta vicino o che vive con te…”.
Lei questo uomo l’ha trovato?
“Credo di sì. Si chiama Riccardo Tozzi e fa il produttore. Ho cercato di superare certi dispiaceri con la psicanalisi, che continuo tuttora perché nella vita serve sempre, anche nel lavoro, ma la cosa che sono riuscita a fare è stata, dopo il fallimento del primo matrimonio, costruire una nuova famiglia e mettere al mondo nuovi figli. Il mio primo l’avevo avuto a 18 anni… La scelta è stata quello di una famiglia allargata che comunque mi dà grande calore: mi ha rifatto sentire a casa”.
Ma lei in parte non è “conservatrice” di determinati valori?
“La parola famiglia allargata in realtà non mi è mai piaciuta, per certi versi la trovavo una moda a discapito dei figli. Però la realtà è divenuta questa e bisogna cercare con grande naturalezza e consapevolezza anche un nuovo modo di pensare e di essere. Spesso sono i figli a insegnarcelo”.
Figlia d’arte, suo padre Luigi è stato un grande regista e un uomo impegnato. Come era in famiglia, che cosa ricorda di lui?
“Non aveva grandi slanci affettivi, ma con metodo e pazienza a noi quattro sorelle ha insegnato a vivere, cavandocela da sole, a viaggiare, ad apprezzare il bello, la vita. Naturalmente, anche la sua professione ci ha influenzato, eppure all’università mi sono iscritta e laureata in economia e commercio: non era una sfida, ma una scelta pratica. Quando la applicai al lavoro, volevo essere autonoma, lui però non la digerì troppo… Mi ha lasciato in eredità anche un folle amore per la lettura e la scrittura”.
Il comportamento sociale cambia. Lo ha scritto anche nei suoi libri che spesso divengono spettacoli e film. Lei è un’attenta osservatrice del costume, ma allo stesso tempo ama scrivere per se stessa, quasi terapeuticamente. Come concilia queste due cose?
“Mi viene naturale. Lo faccio senza pensare se poi ha un fine. Mi alzo al mattino e scrivo, per me stessa. Solo dopo mi accorgo che può essere un lavoro utile persino agli altri. Non la prenda come una presunzione”.
Lei Ha avuto riconoscimenti importanti: il suo film “La Bestia nel cuore” è stato candidato all’Oscar nella categoria del miglior film straniero, il suo romanzo “L’illusione del bene” è stato finalista al Premio Bergamo. Si trova a suo agio con la fama e i riconoscimenti?
“Fama è una parola un po’ troppo grande… Quei riconoscimenti erano inaspettati, pertanto sono stati graditi come una sorpresa. A Hollywood mi sembrava di essere in una fiaba, il mondo circostante era da kolossal”.
In “Due partite” con la Buy, la Ferrari, la Massironi e la Milillo, divenuto poi un film con la regia di Monteleone, si avvertiva una certa affinità con gli attori. E’ sempre così?
“Quasi sempre. A Rossella Falk ho proposto il ruolo di Letizia perché da anni stimavo il suo lavoro e siamo entrate in simbiosi una volta che lei ha letto il copione. Lo stesso avviene con altri attori: evidentemente ci sono delle affinità segrete che legano le persone anche quando non le conosciamo a fondo. Forse non è un caso che con altri professionisti e amici ho fondato nel 2004 un’associazione culturale, che non ha scopo di lucro, e che si chiama “Artisti riuniti”. Il suo scopo è portare nuova linfa al teatro mettendo in scena testi, sperimentando, lanciando nuovi attori e nuovi autori. Mi piacere lavorare con mia sorella Paola, sceneggiatrice anche in questo spettacolo”.
Se dovesse tracciare un bilancio della sua carriera quale sarebbe?
“Se la vita fosse una partita a carte, credo che la posta in gioco rappresentata da ciò che ho fatto finora sarebbe consistente. Ho molto faticato all’inizio, dopo la separazione, lasciando anche un lavoro certo per uno incerto e più creativo, poi la vita mi ha riservato le carte necessarie per qualche buon finale di partita”.
Progetti per il futuro?
“Quando la notte”, edito come tutti i miei libri da Feltrinelli, si tradurrà in uno spettacolo, così come mi auguro che “Le misure del bene” diventi un film.

Allora potrò ritenermi spudoratamente fortunata”.

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