Caro Granzotto, leggo sullAlto Adige di un suo coinvolgimento nel caso Alpi. Mi dica, cosa cè di vero?
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Sì, ho visto, ma quellarticoletto non mi coinvolge (come è successo) direttamente nel caso Alpi, caro Zancon. Io sono solo il pretesto che consente a un certo Duccio Canestrini di render noto che il supplemento settimanale di Repubblica gli pubblicò, illo tempore, dieci righe nellapposita rubrica riservata alla posta dei lettori. Cosa che per lui deve rappresentare un successo e un titolo donore. Forse lavvenimento più importante della sua vita. Ho cercato di saperne di più, su questo Canestrini, ma lunica cosa certa è che tiene un corso di laurea in «Scienze del turismo» - chissà cosa vorrà dire - presso il Campus universitario di Lucca. Ah, dimenticavo: è anche proboviro dellAssociazione Italiana Turismo Responsabile (quello praticato, per sua stessa ammissione, da Giovanna Melandri, ricorda? Poi uscirono le fotografie della turista responsabile che si dava alla pazza gioia nella villa di Briatore, che senza essere scienziato sa come ci si distrae). Comunque sia, in quella celeberrima lettera, roba da Nobel, pubblicata da Repubblica il Canestrini contestava quanto scrissi e cioè che in Somalia taluni inviati (fra i quali Ilaria Alpi) quando la cronaca non incalzava ingannavano il tempo «ripercorrendo le orme di Lévi-Strauss alla busca di tristi tropici». Ah ah, mi rimbecca il Canestrini, sono stato inviato (?) anchio e ho visto cosa fanno i colleghi per ingannare il tempo: «Qualcuno cerca una puttana. Qualcuno riposa» eccetera eccetera. «Ma qualcuno studia storia e antropologia». E veniamo ai fatti: nel luglio del 1993 diedi conto ai lettori di un servizio di Ilaria Alpi - Rai3 - dalla Somalia. Lo definii un melenso pistolotto e mi colpì soprattutto il gran finale: «Questo villaggio si chiama Gialalaxi. In somalo Gialalaxi vuol dire argento, il metallo con il quale sono fatti i monili di queste disgraziate somale, che non hanno i soldi per poterseli comprare doro». Ne conclusi che quella era aria fritta bella e buona, una misticanza di Carolina Invernizio e Edmondo De Amicis (ciò che il Canestrini chiama invece studio della storia e dellantropologia). La cosa finì lì. Ma si tornò a parlare di quel pezzo nel giugno del 1994 e a farlo furono Dario Fo e Franca Rame, titolari di una rubrica sul supplemento di Repubblica. Dandomi del bruto, dellimbecille e del mascalzone mi accusarono di «parodiare in grottesco il commento di Ilaria che di lì a poco (mentre in verità erano trascorsi otto mesi, ndr) sarebbe stata assassinata da una banda di guerriglieri somali». Più esplicito fu il professor Giorgio Alpi, il padre di Ilaria, che mi scrisse: «Non credo di esagerare, ma so ora, dai discorsi dei suoi amici, quanto lavesse offesa quel suo articolo e perciò penso che anche lei le abbia sparato a tradimento». Non replicai a quellaccusa, piuttosto pesante, considerandola espressione di uno stato danimo esasperato dal dolore. Però quello si tentò di più o meno esplicitamente accreditare: che se non il mandante o lesecutore, per certi aspetti ero corresponsabile della morte di Ilaria Alpi.
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