Il critico Emanuele Trevi cade nel romanzo trappola

Signore e signori, attenzione: questa è la prima recensione che rivelerà un colpo di scena all’autore del libro di cui si parla, il famoso critico Emanuele Trevi che, come tutti i critici italiani, da Cotroneo a Asor Rosa, prima o poi scrive un romanzo, se va male due o tre. Ma Emanuele è caduto in una trappola, e vorrei salvarlo, perché è una brava persona, come dimostra il romanzo Il libro della gioia perpetua (Rizzoli, pagg. 368, euro 19,50), storia molto commovente, ma non quella che crede, ignaro, povero Emanuele.
Lo stanno illudendo anche che vincerà il Premio Strega, e lui non sa l’orribile verità. Lui che apparentemente conosce bene il confine tra verità e menzogna, e lo si evince in mirabili passaggi ittico-morali dove si osserva come «la menzogna, molto spesso, appare così piena di vita, fremente e direi anzitutto guizzante, da possedere la forza di retrocedere nel tempo, con l’agilità di un salmone che risale la corrente del suo fiume per accamparsi, temeraria e fortunata usurpatrice, nel posto che spetterebbe alla cosiddetta verità, polverizzandola senza rimedio, ricoprendone le ceneri col suo manto di scaglie iridate». Un presagio, la metafora del salmone affumicato? Caro Trevi, sarà un colpo al cuore, sarà un colpo di grazia, se hai le coronarie malandate fermati qui, ti prenderebbe un colpo. Vado avanti.
Dunque, la trama è questa, da consumare pacchetti di kleenex (sebbene non si capisca mai in quale punto del libro piangere né per chi, se per Saigon, se per la Mastellone, se per Trevi, e si è sempre lì lì ma poi niente): lui, ossia l’io narrante, ossia se stesso, ossia il critico Emanuele, viene invitato a Napoli per una conferenza su «Etica e letteratura - Un incontro difficile», però l’incontro è rimandato, causa città seppellita dalla spazzatura. Tuttavia l’organizzatrice, signora Mastellone, prima che Trevi se ne vada gli consegna una busta con dentro un quadernino scritto da una bambina di otto anni figlia di migranti, «il libro di Clara e Riki», e poiché la bambina è scomparsa, e la famiglia è scomparsa, il romanzo va avanti per 270 pagine nelle elucubrazioni di Emanuele sulla possibile storia di questo libro di bambina, per lui e la signora Mastellone così illuminante, zen, iniziatico. Allora Emanuele, che dorme 18 ore al giorno, apatico, demotivato, strascicato, rimugina sui propri progetti falliti, finché gli viene in mente «l’idea di pubblicarli, il libro e il memoriale, accompagnati da una specie di introduzione, o meglio da un finto commento scientifico del tipo Fuoco pallido di Nabokov», addirittura.
D’altra parte, non riuscendo a concludere niente, si era reso conto che «di una musa così inaffidabile, a un certo punto puoi anche pensare che sia morta senza aver avuto il tempo di fartelo sapere, abbandonandoti come un coglione di fronte al computer inutilmente acceso». Come un coglione davanti al computer, povero Emanuele. E invece, alla morte della signora Mastellone, siccome è pur sempre un critico italiano, ci scrive su un romanzo strappacore. Per la letteratura vale lo stesso principio del circo quando vediamo una foca giocare a palla: se per esempio un romanzo di Baricco o di Scurati fossero scritti da un babbuino del Bioparco di Roma sarebbero capolavori assoluti, e quindi anche il libro di Clara e Riki, se fosse scritto da una bambina, meriterebbe non dico le elucubrazioni salmonate, ma almeno uno Strega giusto, finalmente convertito in un premio della letteratura per l’infanzia, e si premierebbe la piccola Saigon, Emanuele al massimo l’accompagnerebbe per mano.
Solo che, analizzando il testo di Clara e Riki, si evince ciò che Emanuele non ha capito, l’orribile trappola in cui è caduto mentre credeva di scrivere il suo libro. Emanuele è un inconsapevole cavallo di Troia, e i retroscena reali di questo romanzo sono degni di una trucidissima spy-story all’italiana. Basterebbe leggere l’incipit del quadernino di Saigon riportato per intero da pagina 273 (da dove inizia «il libro» vero e proprio): «Il paesello di Lassiniere era ricoperto di neve ed i ragazzi scivolavano con la loro slitta giù per la vallata. Riki, un ragazzetto di dodici anni, stava camminando trascinando dietro di lui una slitta con sopra seduta comodamente una bambina con dei capelli neri e degli occhi azzurri. Aveva dieci anni, ma ne dimostrava otto, e si chiamava Clara». Vi sembra davvero una bambina? Emanuele, tu che sei un critico così rispettato e manifesto, sei cascato in questa macchinazione? Non ti sei accorto che la soluzione è, come direbbe un fine studioso, tutta extradiegetica? Non ti sei accorto che la signora Mastellone ti ha consegnato il manoscritto di colui che, pare rinunciando allo Strega, aveva organizzato già da decenni la contromossa? Non ti sei accorto di essere solo una pedina? E questa scoperta non fa più piangere della storia vera, trasformando il Trevi sensibile samaritano letterario in vittima di un complotto, complice la Rizzoli? E quel Paolo Zaninoni che ringrazi per il titolo, hai capito che razza di traditore è?
Il libro della gioia perpetua? Al danno la beffa.

Resta da capire come farà la piccola Walter Veltroni Saigon a ritirare il premio travestendosi in una bambina di otto anni, ma senza dubbio, se è arrivato fin qui, troverà il modo, il più è fatto e oggi il trucco fa miracoli e comunque sia, ora e sempre, si sa, yes he can. Resta da capire anche un’altra cosa: siamo sicuri che la signora Mastellone sia morta di morte naturale? La riesumiamo prima dello Strega?

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