Croazia nell’Ue, ecco perché c’è voluto tanto

Prima i retaggi della guerra civile jugoslava poi i veti della Slovenia. Ma il 1° luglio 2013 sarà Europa 

Croazia nell’Ue, ecco perché c’è voluto tanto

Otto anni e quattro mesi dopo avere presentato la domanda di adesione e cinque anni e otto mesi dopo l’apertura dei relativi negoziati, la Croazia ha finalmente ottenuto il via libera della Commissione europea per l’ingresso nella Ue: i 35 capitolati della trattativa sono stati chiusi nei tempi previsti e Barroso si è congratulato con il governo di Zagabria, presieduto dalla signora Jadranka Kosor, per l’impegno messo nel risolvere gli ultimi contenziosi, riguardanti in particolare il rispetto dei diritti umani da parte di una magistratura molto chiaccherata. Ma l’iter della Croazia per diventare il ventottesimo Stato dell’Unione non è ancora completato: il 24 giugno dovrà ottenere il via (certo) del Consiglio Europeo, poi il Trattato di adesione dovrà essere ratificato dai Parlamenti di tutti i Paesi membri (probabile, ma non certissimo).

Infine, il Trattato stesso verrà sottoposto - mediante referendum - all’approvazione dei 4 milioni e mezzo di cittadini croati (oggi in maggioranza favorevoli al sì, ma domani non si sa). Se tutto andrà bene, l’ingresso ufficiale di Zagabria in Europa, quando i croati otterranno il passaporto UE e usciranno simbolicamente da quei Balcani cui non hanno mai voluto appartenere, avverrà il 1° luglio 2013. A Bruxelles sperano che, prima di allora, il Paese riesca a uscire dall’attuale recessione e non finisca col diventare un’altra Grecia.

Per arrivare al traguardo, la Croazia ha dovuto superare una serie di ostacoli: prima, è stata tenuta in quarantena per la parte avuta nella guerra civile jugoslava e i massacri compiuti dai suoi soldati contro i serbi della Krajina; poi, ha dovuto consegnare alla Corte internazionale dell’Aja un certo numero di criminali di guerra, l’ultimo dei quali, il generale Ante Gotovina, è stato a lungo “protetto”; nel 2008-2009 è stata bloccata da un veto della vicina Slovenia, a causa di una disputa irrisolta sui confini marittimi tra le due repubbliche; infine, ha dovuto superare le resistenze del Parlamento europeo, non troppo convinto delle riforme della pubblica amministrazione e della lotta alla corruzione.

L’Italia è stata tra i principali fautori dell’ingresso di Zagabria in Europa, sebbene i rapporti tra i due Paesi siano tuttora contrassegnati da problemi irrisolti, risentimenti e punzecchiature. Nel deliberare la restituzione ai vecchi proprietari dei beni nazionalizzati da Tito, la Croazia ha trovato il modo, con una serie di artifici di dubbia legittimità, di escludere gli esuli italiani da Istria e Dalmazia. Il suo trattamento della nostra minoranza di 20-25.000 persone lascia spesso a desiderare. I suoi tentativi di appropriarsi del nostro patrimonio culturale, facendo passare per croati personaggi italianissimi come Marco Polo e lo scienziato Boscovich, o negando le origini veneziane delle maggiori città dalmate sfiorano spesso il ridicolo. Il suo rifiuto di accettare la medaglia d’oro che nel 2002 il presidente Ciampi voleva conferire alla città di Zara è stato un gesto di meschina ostilità. Ma tant’è, i successivi governi italiani hanno deciso di dimenticare il passato e guardare al futuro, nella speranza che l’ingresso della Croazia in Europa finirà con l’appianare i contrasti ed espandere oltre Adriatico la nostra influenza economica e culturale. Entusiasta dell’adesione è anche il Vaticano, che fu il primo a riconoscere la Repubblica dopo la sua secessione dalla Jugoslavia nel 1992.

La luce verde accordata alla Croazia apre anche un nuovo capitolo nella politica di allargamento della UE. Alle sue porte batteranno ora con più insistenza le altre repubbliche dell’ex Jugoslavia, dalla Serbia che ha appena segnato un punto a suo favore con la consegna alla Corte dell’Aja del generale Mladic, alla Macedonia tuttora in lite con la Grecia per avere adottato un nome troppo ellenico, al Montenegro e alla stessa martoriata Bosnia.

Ormai sono (con il Kosovo e l’Albania) quasi delle enclavi in un’Europa che si è geograficamente compattata. Ma, per svariate ragioni, i tempi saranno lunghi, ancora più lunghi che per Zagabria. All’Europa a 28 siamo ormai prossimi. Ma per quella a 32, o addirittura a 34, bisognerà aspettare la fine del decennio.

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