Già l'anno scorso avevano cominciato a rifarsi la bocca, ma è adesso che davvero possono liberare l'esultanza: la doppia sconfitta in casa con Novara e Bologna, in un'altra vita sei punti sicuri prima ancora di cominciare, è davvero quanto sognavano da anni gli italiani no-Inter, cioè quasi tutti. È proprio così che la volevano, umiliata e nuda, vilipesa e disonorata. Finalmente, i conti tornano: la vanitosa società degli onesti e dei romantici, che magari telefonano come gli altri agli arbitri e come gli altri spendono cifre spaventose per comprare giocatori, salvo pretendere di uscirne comunque diversi e migliori, quasi un mondo incantato nella galassia depravata del calcio italiano, ecco, proprio questo bluff ideologico torna definitivamente là dove tutti quanti l'aspettavano da tanto tempo, in mezzo alla polvere, sommersa dai fischi e dagli insulti.
La mattanza dell'altra sera magari non sconvolge la classifica di serie A, perché ormai quello che succede all'Inter è del tutto ininfluente nei giochi veri, ma certamente stravolge la speciale classifica di serie A come Antipatia. Da anni, con le sue vittorie facili e ripetute, la squadra di Moratti si era insediata in vetta, inamovibile. Scalzata la Juve, finita con la caduta in B sul fondoclassifica dei compatiti, sorpassato il Milan, sempre in zona Champions, però meno vincente e meno prepotente di una volta, ancora lontana la Roma, che tutti riescono a odiare davvero solo quando vince lo scudetto e blocca la capitale per sei mesi, il più avvelenato sentimento di rivalsa era tutto concentrato sull'Inter. La sua infallibilità sul campo era già garanzia di primato, perché da sempre il più forte finisce per scatenare invidie e livori. In aggiunta, il morattismo ci aveva messo il tocco di classe della pretesa superiorità morale, della diversità poetica, debitamente sostenuta dai trombettieri del Cui, Club ultrà intellettuali, presidente Roberto Vecchioni, vicepresidente Michele Serra, segretario Beppe Severgnini.
Uno più uno fa due: imbattibilità più superbia fa quel plebiscito di astio sportivo che ha accompagnato l'Inter nella sua ultima epopea, ribollendo ai suoi piedi, appena sotto il podio, aspettando il momento buono. Il momento è arrivato. Ed evidentemente, adesso che tutto s'è compiuto, si preannunciano rivolgimenti. Mentre è chiara la lenta, ma continua risalita della Juve (quel Conte che sbrocca contro gli arbitri ha dato indubbiamente una decisa spinta all'insù), mentre il Milan accetta il duello puntando molto su questo Ibra che si fa largo a schiaffi, l'Inter rincula precipitosamente di molte posizioni. Non è ancora il momento di considerare chiuso il discorso antipatia, perché ancora troppo fresco è il ricordo del suo dominio assoluto e ancora troppo libidinosa la soddisfazione delle popolazioni no-Inter. Ma avanti di questo passo, tenendo questa media, il risultato è inevitabile: quanto prima, la creatura di Moratti sfumerà silenziosamente sullo sfondo, dove i grandi rancori popolari non arrivano più, nel limbo dell'indifferenza, tra Cagliari e Atalanta. Paghi del trionfo, i no-Inter rivolgeranno le loro pulsioni verso altri obiettivi più succulenti. Questa è la vita, e non c'è niente che possa cambiarla.
Così, umiliazione dopo umiliazione, alla fine gli interisti si ritroveranno un giorno esattamente là dove sono partiti, sotto il guscio di Calimero. Riprenderanno a piangersi addosso, a sentirsi accerchiati, a denunciare complotti, a maledire i poteri forti. A irridere le proprie sconfitte, a deridere i propri campioni.
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