Il Crollo. Too Big to Fail (DeAgostini, pagg. 620, euro 21) del giornalista Andrew Ross Sorkin è stato un bestseller negli Stati Uniti, nonostante il tema solitamente riservato agli esperti: la supercrisi economica che ha travolto Wall Street nel settembre 2008, ridisegnando nel giro di pochi giorni il panorama del capitalismo americano.
L’autore, stella del New York Times e fondatore di una importante newsletter finanziaria legata al quotidiano (dealbook.blogs.nytimes.com), si presenta al pubblico dei lettori non specializzati con un’invidiabile biglietto da visita. Tom Wolfe ha infatti descritto Il crollo come «la saga affascinante, scena dopo scena, del cieco che cerca di guidare lo stolto attraverso la Seconda Grande Depressione». Sorkin si muove a suo agio nello stile del new journalism inventato proprio da Wolfe, e mette insieme reportage (tra le fonti: 500 ore di interviste, documenti riservati, e-mail private, agende, note spese) e letteratura. Thriller. O forse tragedia, come suggerisce l’elenco dei personaggi, tutti rigorosamente reali, che apre il volume. La caduta di Lehman Brothers, il panico successivo, il dilagare della disperazione in tutte le banche d’affari sono sceneggiati a incastro come in un film d’azione (fosse davvero una pellicola sarebbe Crash). Le vicende sono raccontate dal punto di vista degli ex Padroni dell’Universo (copyright Tom Wolfe), ovvero i Ceo, in Italia diremmo gli amministratori delegati, delle Big Five, le prime cinque banche d’affari di Wall Street: Bear Stearns, Goldman Sachs, Lehman Brothers, Merrill Lynch e Morgan Stanley.
Dei Ceo, seguiamo la ascesa, spesso la realizzazione del sogno americano, dalla piccola borghesia all’appartamento in Park Avenue, dai lavoretti male retribuiti agli assegni da milioni di dollari. Una storia per tutte, quella di Lloyd Blankfein, nato nel Bronx, cresciuto a Linden Houses, una delle zone più povere di New York. Venditore di bibite durante le partite degli Yankees, studente modello, iscrittosi ad Harvard grazie ai sussidi, avvocato fiscalista, assunto in Goldman Sachs. Qui inizia a dimostrare la sua bravura «strutturando un’attività che permise a un cliente musulmano di obbedire al divieto coranico di applicare un tasso d’interesse nelle transizioni finanziarie». Era un affare da 100 milioni di dollari. Soprattutto seguiamo i Ceo di riunione in riunione, indaffarati in una tanto frenetica quanto inutile attività mirata a salvare se stessi e in subordine Wall Street. Maghi della finanza, eppure, con le dovute eccezioni, incapaci di vedere il baratro che li attende tutti quanti un solo passo più in là. Maghi della finanza, eppure, con le dovute eccezioni, incapaci di comprendere natura e composizione dei prodotti finanziari scambiati dalle proprie istituzioni. Prodotti così «raffinati» da essere incomprensibili e quindi impossibili da valutare nel loro reale valore. Materiale «tossico», quello che ha trascinato il mercato alla rovina. Mentre le borse tracollano e le azioni perdono valore, i Ceo cercano il bandolo della matassa aprendo bottiglie della Tenuta dell’Ornellaia 2001, un «vinello» da 180 dollari. Per arrivare alla solita conclusione: le soluzioni proposte sono inutili come «un paio di mammelle sul toro». (Il riferimento è alla statua del toro, uno dei simboli di Wall Street).
Il tema però centrale nel libro di Sorkin è il ruolo dello Stato nella crisi. Intervenire o lasciar fallire gli incompetenti? I protagonisti sono Hank Paulson, segretario del Tesoro; Tim Geithner, presidente della Federal Reserve Bank di New York; e Ben Bernanke, chairman della Federal Reserve. Sono loro ad avere il cerino acceso in mano. Se non salvano le banche d’affari rischiano la catastrofe economica, con conseguenze disastrose sulla vita delle persone comuni. Se le salvano, minano alla radice il sistema americano, in cui il pubblico non deve supplire alle mancanze del privato. Senza contare le ripercussioni politiche: l’intervento statale è ritenuto ingiusto dalla maggioranza della popolazione; di conseguenza, un’amministrazione repubblicana come quella Bush deve procedere con i piedi di piombo. A grandi linee, è andata così: Bear Sterns venne salvata; Lehman affondata, nella convinzione di lanciare un segnale forte al mercato. Non funzionò. Anche le altre dunque furono salvate. L’epilogo però è ancora da scrivere. Nelle pagine finali, Sorkin rende conto del dibattito in corso «sul futuro del capitalismo e sul ruolo del governo nell’economia». Un ruolo forse «cambiato in modo permanente».
E mentre il libro andava in stampa negli Usa, avverte l’autore, «un forte grido di protesta si leva dal pubblico insieme agli avvertimenti sul socialismo strisciante, ai dubbi sul ruolo del governo non solo a Wall Street ma anche a Detroit» (cioè l’industria automobilistica).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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