Acqua inquinata dai Pfas, attesa per la sentenza

Che i Pfas abbiano inquinato la falda non c’è dubbio. Sui danni alla salute le perizie divergono. La Corte ha ammesso trecento parti civili, per un totale di oltre 240 milioni di richieste di risarcimento danni

Acqua inquinata dai Pfas, attesa per la sentenza
00:00 00:00


Sarà una giustizia "a furor di popolo"? Di sicuro ai due giudici e soprattutto ai sei giurati popolari che domattina si chiuderanno nella camera di consiglio della Corte d’assise di Vicenza si porrà un dilemma in più, oltre a quello già drammatico di decidere della sorte degli imputati. Dovranno, se mai dovessero convincersi della loro innocenza - ed è uno sbocco possibile come in ogni processo - fare i conti con il clima straordinario che ha accompagnato questa vicenda: l’inchiesta e il processo per l’avvelenamento delle acque nella zona di Trissino, infiltrate per anni dai cosiddetti Pfas, dei composti chimici artificiali - perfluourati, per l’esattezza - utilizzati fino al 2008 nella Miteni, la fabbrica della zona, oggi marchiati come «inquinanti eterni» perché non si degradano nell’ambiente.

Che i Pfas abbiano inquinato la falda non c’è dubbio. Sui danni alla salute le perizie divergono, l’effetto principale riscontrato dalle statistiche è un aumento del colesterolo (anche se alcuni consulenti delle difese dissentono). Assodato l’avvelenamento delle acque, tutto il processo ruota intorno a un tema complicato: negli anni fino al 2013 su cui grava il capo d’accusa principale, erano noti gli effetti del Pfas, erano fissati per legge i limiti alle concentrazioni? No, dicono le difese. Sì, dicono i pm Hans Blattner e Barbara De Munari. Intorno a questo snodo si è celebrato un processo interminabile e defatigante, quattro anni, cento udienze. Che oggi, salvo rinvii dell’ultima ora, celebra il suo ultimo atto. Sul banco degli imputati quindici manager succedutisi negli anni alla guida della Miteni, fondata negli anni Sessanta dai conti Marzotto e finita poi in mani straniere: un giapponese, due tedeschi, un olandese, un irlandese, un gruppone di italiani. Tutti accusati di avvelenamento doloso di acque, cioè di avere agito deliberatamente e consapevolmente: i pm hanno chiesto per loro pene tra i dodici e i diciassette anni di carcere.

Lunghezza e scenari non inediti, nei processi per reati ambientali. A rendere particolare il caso di Vicenza è la mobilitazione popolare che ha accompagnato l’intero processo, e che oggi inevitabilmente peserà sull’andamento della camera di consiglio. Anche perchè i sei giuriati sono tutti vicentini, forse conoscono di persona i militanti dei comitati, e comunque sanno bene l’indignazione popolare che accompagnerebbe una assoluzione. Che peraltro fu la stessa conclusione della prima indagine aperta oltre dieci anni fa dalla Procura di Vicenza, secondo cui le conoscenze dell’epoca non individuavano i pericoli dei Pfas.

Per evitare che anche oggi finisca allo stesso modo, a Vicenza si è mosso il mondo, fino a ottenere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, finita in nulla. Ad animare la mobilitazione le «mamme anti-Pfas», con le tende piazzate davanti al tribunale, le fiaccolate per invocare le condanne, le statue della «Madonna dell’acqua lurida» portate in processione, le novene di avvicinamento alla sentenza con un video al giorno, le mobilitazioni in appoggio in Francia e in Germania. Ma anche professori e studenti, maestre e alunni, della città e della provincia, indignati e decisi a chiedere giustizia: «La giustizia deve trionfare e gli inquinatori eliminare», dice il disegno di un bambino di dieci anni. «Abbiamo bisogno della tua luce per illuminare le coscienze», diceva lo slogan della fiaccolata in occasione delle ultime udienze. «Contiamo che le conclusioni a cui si arriverà in questa Corte d’assise servano a riconoscere quanto ci è stato tolto in questi anni di tragica contaminazione». E poi le magliette «state avvelenando mio figlio», i messaggi dei bambini e delle nonne.

Ad ingigantire il processo, la Corte ha ammesso trecento parti civili, ognuna con la sua richiesta di risarcimento dei danni, per un totale di oltre 240 milioni. Riusciranno, i giurati, a non sentire tutto questo frastuono?

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica