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Anan Yaeesh, chi è il palestinese arrestato in Italia e accusato di terrorismo

Dalla militanza in Cisgiordania alla protezione negata, fino allo sciopero della fame

Anan Yaeesh, chi è il palestinese arrestato in Italia e accusato di terrorismo
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Tornato libero l'imam Mohamed Shahin, il M5s è pronto a tornare alla carica per chiedere la liberazione di un altro detenuto straniero. Parliamo di Anan Yaeesh, arrestato nel gennaio del 2024 con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo e da quel momento nel carcere di alta sicurezza di Melfi. L’uomo venne fermato a fini estradizionali a seguito di una richiesta avanzata da Israele. Quest’ultima ha deciso di disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti di Yaeesh, considerato membro attivo della resistenza palestinese in Cisgiordania. Con l'obiettivo di cavalcare l'onda di Shahin per sabotare anche il piano dei Cpr e del modello Albania, i grillini hanno sposato la battaglia dei legali dell’uomo e della comunità pro Pal e oggi, presso la sala stampa della Camera, è in programma una conferenza stampa per denunciare anche la sua vicenda giudiaziaria.

Chi è Anan Yaeesh

Anan Yaeesh è un cittadino palestinese detenuto nel carcere di Melfi, al centro di un procedimento giudiziario in Italia legato ad accuse di terrorismo internazionale. Dal 4 ottobre ha iniziato uno sciopero della fame. La decisione, ha ricordato il Comitato Free Anan, è stata presa “in solidarietà con le mobilitazioni italiane per la Palestina, in particolare con quella di Roma dello stesso giorno, quando oltre un milione di persone è sceso in piazza contro il genocidio del popolo palestinese, e per riaffermare i propri diritti violati”.

Nato e cresciuto in Cisgiordania, Yaeesh proviene dalla città di Tulkarem. Come riportato dal Fatto Quotidiano, sua storia personale è segnata dal conflitto israelo-palestinese: da adolescente, dopo la morte della fidanzata, uccisa da un soldato israeliano, avrebbe deciso di aderire alla lotta politica e armata palestinese. Negli anni successivi Yaeesh sarebbe stato più volte arrestato dalle autorità di Tel Aviv. In aula ha raccontato la propria esperienza personale con una dichiarazione spontanea: “Signor Giudice, in passato sono stato sottoposto decine di volte alla tortura. Sono stato vittima di tentati assassinii da parte di Israele, in Palestina e all’estero. Nel mio corpo vi sono 11 proiettili e oltre 40 schegge, non ho un osso che non sia stato rotto”. Nel 2013 ha lasciato i Territori palestinesi, trasferendosi prima in Europa e poi stabilendosi in Italia, dove viveva a Mestre e gestiva un piccolo ristorante.

La sua posizione legale in Italia si è complicata quando Israele ha presentato una richiesta di estradizione. Il ministero della Giustizia ha inizialmente accolto l’istanza, ma la Corte d’Appello ha successivamente bloccato la consegna, ritenendo che Yaeesh avrebbe rischiato torture e trattamenti inumani in caso di trasferimento. La decisione è stata motivata anche sulla base di documentazione fornita da organizzazioni per i diritti umani e da testimonianze di prigionieri palestinesi.

Pochi giorni dopo, tuttavia, la Procura dell’Aquila ha aperto un nuovo procedimento nei suoi confronti. L’accusa è di aver promosso, nei territori della Cisgiordania occupata, un gruppo armato denominato “Rapid Response Brigades of Tulkarem”, contestando l’articolo 270 bis del codice penale, che riguarda le associazioni con finalità di terrorismo internazionale. L’avvocato Giuseppe Romano, dei Giuristi Democratici, ha definito il procedimento “un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania” evidenziando che questa scelta “riproduce in Italia l’ingiustizia che da decenni colpisce i palestinesi nei territori occupati”.

In passato, riporta ancora il Fatto, la militanza di Yaeesh nelle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, considerate l’ala armata di Fatah, gli ha impedito di ottenere lo status di rifugiato politico, pur consentendogli l’accesso a una forma di protezione speciale. Recentemente è intervenuta anche Francesca Albanese sul suo caso: “Tutti quanti hanno diritto alla giustizia e a un processo equo.

Quello che è successo all’Aquila non ha l’aria di un processo equo, sembra piuttosto il trattamento politico di una causa che non si comprende”. La relatrice Onu ha inoltre rimarcato che Yaeesh è accusato di terrorismo da uno Stato “che utilizza la tortura come metodo di oppressione”.

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