Caso Ramy, l'amico fa ricorso contro la condanna: "Soprusi dai carabinieri"

I legali di Fares Bouzidi hanno depositato l'atto d'appello contro la condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale

Incidente Ramy
Incidente Ramy
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Nuovi aggiornamenti sul procedimento giudiziario legato al caso Ramy, il diciannovenne egiziano morto il 24 novembre 2024 dopo una caduta dallo scooter durante un inseguimento di circa otto chilometri tra via Ripamonti e via Quaranta, a Milano. Gli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli hanno depositato l'atto d'appello contro la condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale per Fares Bouzidi, l’amico alla guida del mezzo a due ruote. Secondo i difensori del ventiduenne, il comportamento dei carabinieri durante l’inseguimento costato la vita a Ramy mostrerebbe un atteggiamento non conforme ai doveri istituzionali.

Secondo la difesa di Fares, infatti, le "espressioni utilizzate" dai militari "durante l'inseguimento", registrate dalle dash cam e body cam, evidenzierebbero "un atteggiamento di disprezzo e sopruso incompatibile con il corretto esercizio della funzione pubblica" e una condotta "improntata a prepotenza e tracotanza, palesemente sproporzionata rispetto alle finalità perseguite". La sentenza nei confronti dell’amico di Ramy era stata emessa il 26 giugno con rito abbreviato dal gup Fabrizio Filice, su richiesta dei pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, in un procedimento in cui i sei carabinieri coinvolti nell’inseguimento erano parti civili e hanno ottenuto un risarcimento di 2 mila euro ciascuno.

Nel ricorso, la difesa chiede che venga riconosciuta "la non punibilità" di Bouzidi, sostenendo che i militari avrebbero causato "il fatto" eccedendo "con atti arbitrari i limiti delle proprie attribuzioni", come previsto da una specifica scriminante del codice penale. I legali richiamano anche alcune frasi pronunciate dai carabinieri e già note agli atti, tra cui: "vaff.... non è caduto", "speriamo si schiantino sti pezzi di mer..", "chiudilo chiudilo che cade".

Ricordiamo che Bouzidi è indagato per omicidio stradale insieme al carabiniere che guidava l’ultima vettura dell’inseguimento. La Procura di Milano ha chiuso le indagini su entrambi, oltre che su altri quattro militari accusati di favoreggiamento e depistaggio. Dopo due rigetti del gip relativi alla richiesta di una perizia tecnica sulla dinamica dell’incidente, la Procura dovrà ora scegliere se chiedere o meno il processo.

Nell’impugnazione, la difesa sostiene che fosse "pacifico" che l’azione dei carabinieri avesse "ecceduto i limiti delle attribuzioni", considerando che la targa dello scooter era già stata identificata durante l’inseguimento e che quindi l’intervento avrebbe potuto essere interrotto, procedendo in un secondo momento alle contestazioni. Per i legali, la "prosecuzione ingiustificata e imprudente" avrebbe aumentato il rischio per tutti, compresi i due giovani a bordo del mezzo, e avrebbe contribuito alla situazione che ha poi portato alla morte di Elgaml.

Il giudice di primo grado aveva invece ritenuto Bouzidi responsabile per una condotta "esclusivamente qualificabile" come "illegale e antidoverosa", rilevando che gli agenti avevano “il dovere istituzionale di dare corso all'inseguimento”.

Nella sentenza si sottolineava inoltre che, di fronte a una fuga così prolungata, era “perfettamente concepibile” che i militari "di fronte a una condotta così estrema" avessero "ipotizzato una ragione della fuga più grave di quella che è poi risultata essere la ragione effettiva", ossia che il 22enne era alla guida del T Max "senza aver conseguito la patente".

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