Cronaca giudiziaria

Cassazione: "Le molestie sui social non sono come quelle telefoniche"

Il caso di una donna condannata in Appello per molestie perché aveva contatto sui social i genitori adottivi dei suoi figli naturali. La Cassazione ha annullato la sentenza: "Il messaggio non è come una telefonata, si può bloccare la notifica"

Cassazione: "Molestie sui social non sono come quelle telefoniche"

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I messaggi indesiderati sui social non sono paragonabili alle telefonate moleste. È quanto stabilisce una sentenza della Cassazione sottolineando che sulle app di messaggistica istantanea è possibile gestire le notifiche e, dunque, il destinatario può decidere da chi ricevere o meno comunicazioni. "In un sistema di messaggistica telematica che ormai, per effetto dell'ulteriore progresso delle telecomunicazioni, permette al destinatario di sottrarsi sempre all'interazione immediata con il mittente ponendo un filtro al rapporto con il soggetto che invia il messaggio molesto. L'equiparazione tra la invasività delle comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica e quella delle comunicazioni tradizionali effettuate con il mezzo del telefono non si giustifica più", mettono nero su bianco i supremi giudici della prima sezione penale.

Il caso

La sentenza fa riferimento al caso di una mamma che aveva chiesto l'amicizia su Facebook a i suoi figli naturali e successivamente aveva contattato, sempre tramite i social, anche i genitori adottivi. Finita a processo, la donna era stata condannata dalla Corte d'Appello di Caltanissetta a 2 mesi per il reato di molestie e disturbo alla persona. Accogliendo il ricorso presentato dall'imputata, oggi gli ermellini hanno annullato senza rinvio il verdetto di secondo grado. "La circostanza che il messaggio telematico abbia assunto quella maggiore invasività che lo rende assimilabile alla telefonata molesta ricevuta improvvisamente dipende non da una scelta del soggetto che invia, ma da una scelta del soggetto che riceve - si legge nella sentenza riportata da Adnkronos - La istantaneità della comunicazione molesta veicolata tramite la messaggistica telematica, e la circostanza che essa giunga in un momento improvviso non regolabile dal soggetto che riceve la comunicazione, sono, infatti, caratteristiche accessorie del mezzo utilizzato, che il destinatario può evitare sottraendosi a quella interazione immediata con il mittente che è la linea di delimitazione della fattispecie penale".

"Le notifiche sui social possono essere disattivate dal destinatario"

Nel caso in esame, la donna aveva usato sia Facebook che Instagram per contattare la coppia di genitori adottivi. Circostanza che ha favorito l'imputata, assolta dunque in via definitiva. "Ne consegue che nel caso in esame, caratterizzato da molestie perpetrate tramite messaggi inviati mediante le applicazioni Instagram e Facebook, le cui notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve - concludono i giudici della Cassazione - il fatto di cui è stata ritenuta responsabile l'imputata non è sussumibile nella fattispecie penale dell'articolo 660 del codice penale, in quanto non commesso 'ol mezzo del telefono, nel significato attribuito a questa locuzione dalla giurisprudenza di legittimità".

Il precedente

Diverso, invece, il caso dei messaggi molesti inviati tramite posta elettronica. Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 34171 del 3 agosto scorso, l'intrusività del mezzo che arreca turbamento o molestia al destinatario è diremente e, dunque, rende superato il riferimento al telefono espresso nell'artico 660 del codice penale. "Le comunicazioni di posta elettronica vengono ordinariamente ricevute e inviate, addirittura quasi in maniera prevaiente - si legge nella sentenza - attraverso gli apparecchi telefonici.

Per cui non ha davvero più alcun senso porre distinzioni (incongrue e anacronistiche) incentrate sulla asserità non conformità dello strumento della posta elettronica al dettato normativo".

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