
Nada Cella sarebbe stata uccisa in un’aggressione d’impeto, colpita con un primo oggetto contundente, poi con un altro, anche mentre era a terra. Sembrava non ci fossero speranze per ricostruire cosa accadde in quell’ufficio di via Marsala a Chiavari il 6 maggio 1996, eppure oggi in aula, nel corso del processo che vede alla sbarra Anna Lucia Cecere, è stata fornita una possibile dinamica.
Le difficoltà nelle indagini sono state rappresentate da alcune variabili: in primis le armi del delitto mai ritrovate e poi il fatto che Marisa Bacchioni, madre del commercialista Marco Soracco, datore di lavoro di Cella, avrebbe ripulito l’intera scena del crimine o quasi. Perché qualcosa è rimasto ed è stato grazie a questo qualcosa che si è riusciti a operare una presunta ricostruzione.
Sono state infatti rinvenute all’epoca, dagli inquirenti, alcune macchie di sangue negli angoli della stanza e dietro i mobili, macchie che “danno l’idea della dimensione della vastità dell’agire aggressivo” del killer, secondo quanto affermato dall’allora vicedirigente della polizia scientifica Daniela Campasso, come riporta l’Ansa.
“La vittima fu colpita prima mentre era in piedi ma ci fu accanimento anche mentre era a terra”, ha dichiarato inoltre Campasso, aggiungendo che l’aggressione sarebbe avvenuta all’ingresso dello studio. Questo avrebbe scagionato a monte lo stesso Soracco, che però è accusato di favoreggiamento: aveva le chiavi del suo stesso studio, non aveva senso che suonasse alla porta per farsi aprire dalla segretaria.
“Fu una azione di impeto con un progredire notevole di violenza che è continuata nella stanza dove lavorava la vittima”, ha precisato infatti il dirigente della scientifica di allora Cosimo Cavalera. Che ha spiegato come Nada Cella sarebbe stata colpita dapprima con un oggetto che era vicino all’ingresso e poi con un altro che si trovava sulla scrivania della stessa Nada. Per l’accusa, questi due oggetti sarebbero un fermacarte e una spillatrice. Come accennato, per risalire alla presunta dinamica, sono state fondamentali alcune minuscole macchie di sangue all’ingresso e un portaombrelli che potrebbe essere stato spostato in un’altra stanza e che avrebbe contenuto microtracce di sangue.
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Sono state quindi ascoltate in aula le forze dell’ordine che investigarono nel 1996, ma non solo. Chiamata a testimoniare anche una donna, Paola Mazzini, che era in quegli anni una praticante nello studio Soracco.
Il giorno dopo l’omicidio, Mazzini avrebbe detto agli inquirenti dell’assenza della spillatrice: oggi però, a decenni di distanza, ha spesso ricorso ai “non ricordo”, e il presidente della corte d’assise Massimo Cusatti l’ha invitata a fare uno sforzo di memoria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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