Yara Gambirasio, l'omicidio, il ritrovamento e il Dna di Bossetti: tutto quello che è successo

Tutta la vicenda dell’omicidio di Yara Gambirasio: da quel pomeriggio di novembre 2010 ai tre gradi di giudizio e oltre

Yara Gambirasio, l'omicidio, il ritrovamento e il Dna di Bossetti: tutto quello che è successo

Quello di Yara Gambirasio è stato uno dei delitti che ha scosso e interessato maggiormente l’Italia per la giovane età della vittima, per le modalità del ritrovamento, per le indagini che hanno permesso di risalire a Ignoto 1, per le polemiche e le diatribe legali sulla conservazione dei reperti. Ma per capire meglio bisogna tornare all’inizio.

La scomparsa

Nel 2010 Yara Gambirasio ha 13 anni, è una studentessa e una ginnasta. Vive in una famiglia tranquilla, comune e felice a Brembate di Sopra. Le persone come lei sono considerate potenziali vittime a bassissimo rischio criminologico: significa che, statisticamente parlando, è molto improbabile che resti vittima di un delitto. Eppure è quello che è accaduto, ma tutto inizia con una scomparsa, la sua, il 26 novembre 2010, poco dopo essere uscita dalla palestra che frequentava.

Il ritrovamento

Nonostante i genitori di Yara siano stati tempestivi nel rivolgersi alle forze dell’ordine, il suo caso viene ritenuto inizialmente un allontanamento volontario, una ragazzata. Mano a mano che i giorni passano, le ricerche si infittiscono e, grazie anche a “Chi l’ha visto?” le immagini di Yara fanno il giro d’Italia. Ma nessuno l’ha vista.

Fino al 26 febbraio 2011 quando, in un campo poco distante da una discoteca a Chignolo d’Isola, un hobbista intento a provare un aeroplanino telecomandato scorge qualcosa tra l’erba alta. È Yara: indossa ancora gli abiti del giorno della scomparsa. È rimasta lì tutto il tempo. È stata aggredita, dice l’autopsia, accoltellata con un taglierino che le ha comportato ferite non mortali, lasciata da sola a morire assiderata nella notte del tardo autunno della campagna lombarda.

Le indagini e i vicoli ciechi

Prima che il corpo venisse ritrovato, le indagini subirono due deragliamenti. Il primo: il telefonino di Yara, quello verso cui i genitori continuavano a inviare messaggi a una segreteria che invece taceva, venne localizzato a Monza dagli inquirenti. Il secondo: un’intercettazione portò a un’operaio di un cantiere di Mapello - i cani molecolari avevano rilevato lì una traccia della ragazzina - Mohammed Fikri, di origine marocchina. Una malatraduzione lo portò a essere indagato: secondo una prima traduzione dell’intercettazione, Fikri sembrava confessare di aver ucciso qualcuno. Ma non era così, e infatti l’operaio fu rilasciato.

La svolta del Dna

Il lavoro degli inquirenti sulla scena del crimine e sul corpo di Yara ha portato a isolare dei materiali biologici, alcuni dei quali su indumenti e legati a persone che andavano escluse, poiché Yara le frequentava abitualmente. Tuttavia c’era anche un Dna di uno sconosciuto: lo chiamarono Ignoto 1. Gli investigatori si avvalsero di un peculiare modus operandi per la prima volta in Italia: in assenza di una banca dati biologica, chiesero alle persone di sottoporsi volontariamente al test del Dna, il che portò a individuare i potenziali parenti di Ignoto 1, e in particolare il padre, tale Giuseppe Guerinoni.

Il materiale biologico dei figli di Guerinoni però non coincideva con quello di Ignoto 1, per cui si ipotizzò che potesse trattarsi di prole nata fuori dal matrimonio. Isolando il Dna mitocondriale si risalì a Ester Arzuffi. Con un escamotage - un controllo con l’etilometro - venne preso il Dna a uno dei figli, Massimo Giuseppe Bossetti, operaio anche lui in un cantiere edile di Mapello: in questo caso il match era presente.

L’arresto

Il 16 giugno 2014 i carabinieri giungono al cantiere edile: nel vederli Bossetti cerca di fuggire, ma viene prontamente bloccato e arrestato. Da quel momento cercherà di professarsi innocente, ma il suo materiale biologico è stato ritrovato sui leggings e sugli slip di Yara: l’operaio sostiene da sempre di non sapere come mai il suo Dna fosse sugli indumenti della ragazzina.

I processi

Bossetti viene rinviato a giudizio a febbraio 2015. È stato ipotizzato un movente sessuale anche sulla base di alcune specifiche ricerche effettuate su internet, ricerche che però l’imputato avrebbe attribuito alla moglie. L’operaio viene condannato all’ergastolo in tre gradi di giudizio, nel 2016, nel 2017 e nel 2018. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, poi confermata appunto in appello e Cassazione, Bossetti viene ritenuto colpevole dell’omicidio “poiché, colpendo Yara Gambirasio con pugni o corpi contundenti al capo […] e con uno strumento da taglio e uno da punta e taglio […] in diverse regioni del corpo […] e abbandonandola agonizzante in campo isolato, ne cagionava la morte”. Riconosciute le aggravanti di tempo, luogo e persona e l’aggravante della crudeltà.

I reperti

Dal 2019 in poi, il team legale di Bossetti, composto da Claudio Salvagni e Paolo Camporini, ha cercato di riaprire il caso, a partire dai reperti dell’accusa, conservati all’ospedale San Raffaele di Milano.

Le loro istanze vengono dapprima respinte - il Dna sarebbe stato “consumato” nelle indagini - ma nel 2022 la pm dell’epoca Letizia Ruggeri viene indagata per il trasferimento dei reperti e le modalità di conservazione che non avrebbero rispettato la catena del freddo. Tra maggio e settembre 2024, viene respinta la richiesta relativa a nuove analisi dei reperti e la posizione di Ruggeri viene archiviata.

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