Per anni si è travestito da clown, ha attirato in trappola adolescenti e giovani per poi abusare di loro e ucciderli. John Wayne Gacy è stato giustiziato a Crest Hill il 10 maggio 1994, condannato a morte per 33 omicidi. Il programma Psiche Criminale - Serial Killer, in onda sul canale 122 Fatti di Nera, si è occupato del caso del Killer Clown che terrorizzò Chicago e gli Stati Uniti negli anni '70. John Wayne Gacy era un imprenditore edile che, come seconda attività di copertura, si travestiva da “Pogo the Clown” per feste e attività ludiche. Quel suo aspetto scherzoso gli fu utile per anni per sfuggire alle investigazioni. Solo nel 1978, in seguito alle indagini sulla scomparsa di Robert Piest, la sua ultima vittima, fu scoperto l'orrore: almeno 29 vittime erano state seppellite in giardino e sotto l'abitazione, ammassate in cantina e addirittura nelle fondamenta del barbecue in giardino.
In circa sei anni di attività, il Killer Clown aveva rapito, torturato, sodomizzato e ucciso 33 adolescenti – o giovani adulti – di sesso maschile, tutti attirati in trappola con la promessa di un posto di lavoro nel campo dell'edilizia. Dietro la maschera di impresario edile molto stimato e di attivista civico, che nei weekend indossava un costume da clown per le raccolte fondi negli ospedali, si nascondeva un passato oscuro e uno spietato assassino, poi condannato per 33 omicidi di ragazzi e giovani uomini commessi tra il 1972 e il 1978. La sua doppia vita venne scoperta solo nel dicembre del 1978, quando scomparve il quindicenne Robert Piest. I detective ottennero i mandati di perquisizione, entrarono in casa di Gacy e scoprirono resti umani; altri erano sepolti in giardino, altri ancora furono ritrovati nelle acque a sud di Chicago.
Il quadro era agghiacciante: Gacy, noto anche per le sue esibizioni come Pogo the Clown, aveva agganciato molte delle vittime con promesse di lavoro nella sua attività. Il Killer Clown venne arrestato nel dicembre del 1978: davanti agli inquirenti raccontò, uno dopo l'altro, tutti gli omicidi che aveva commesso. Una mappa dell'orrore lungo tutta Chicago, per un totale di 33 omicidi. Dopo oltre quindici anni nel braccio della morte, Gacy fu giustiziato nel 1994 con un'iniezione letale nello Stato dell'Illinois, mentre all'esterno del carcere era presente una folla di centinaia di persone. Con la sua morte si chiuse uno dei capitoli più bui della cronaca d'America.
“Travestito da clown – ha detto il criminologo Emiliano Fabbri – aveva una faccia che poteva terrorizzare solo con il suo aspetto, lasciare immobili le sue vittime, metteva paura. Negli anni '70 Chicago era in rapida crescita industriale, c'erano tante tensioni sociali. Gacy sfruttava la fragilità dei ragazzi di quel periodo. Aveva un'immagine pubblica che lo difendeva dai sospetti, poi sfruttava la fiducia, prometteva un lavoro nella sua impresa e infine li assassinava. Era stato assolto inizialmente da altre accuse e le denunce di alcuni genitori non furono ascoltate. Inoltre, la sua immagine lo rendeva insospettabile: gli inquirenti furono molto macchinosi e commisero diversi errori, perché avrebbero potuto bloccare il serial killer molto prima. Dal suo aspetto traspariva inquietudine e aggressività. Solitamente, il serial killer ha un periodo di raffreddamento: trascorre tempo tra un delitto e un altro. Non a caso si conoscono solo una parte dei serial killer, quelli che commettono omicidi per motivi precisi, anche se differenti, e organizzano i delitti. Spesso si tratta di persone che hanno subito abusi durante l'infanzia o traumi gravi, in ogni caso una mancanza affettiva. Lui puntava sui giovani, spesso vulnerabili, emarginati come lo era stato lui, in cerca di un'opportunità, che adescava con la promessa di un lavoro. Sapeva bene dove andare a colpire e chi colpire, sapeva che quelli erano ragazzi con una storia sociale particolare, come la sua. Alla fine, come previsto dalla giustizia americana in alcuni Stati, per lui arrivò la condanna a morte”.
“Quello che stupisce di uno dei killer che terrorizzarono gli Stati Uniti – ha spiegato Barbara Fabbroni, psicologa e psicoterapeuta – è quella sua ambivalenza tra la vita normale, da imprenditore, e ciò che si consuma nella parte segreta. Crollò solo quando scomparve la sua ultima vittima e con lui la sua organizzazione di personalità, il mondo da cui arrivava. Qualcosa accadde tra infanzia e adolescenza, che formò la sua personalità antisociale e narcisista, il suo atteggiamento aggressivo verso i giovani adulti. Una frattura significativa tra adolescenza e prima età adulta, poi non più contenuta, che trovò una declinazione, un possibile ristoro purtroppo solo attraverso delitti efferati. Per lui travestirsi era importante: un clown deve solo far divertire, ma la sua maschera aveva un sorriso esagerato e gli occhi tristi. Una maschera che aveva trovato anche a livello sociale per costruire il suo progetto personale, che rappresentava il suo mondo. Aveva un padre abusante, una madre non protettiva, dunque non sappiamo l'evoluzione della sua sessualità. Si faceva accettare da imprenditore, ma il mondo interiore e la nicchia di sofferenza si esprimevano solo con un'ulteriore maschera. Inoltre, altro aspetto da sottolineare è che seppelliva i corpi delle sue vittime in giardino, come dei trofei. Nella sua immagine c'è la paura dietro quel sorriso: basta guardare lo sguardo, racconta molto di più del suo mondo. Utilizzava il clown per essere accettato dagli altri, una maschera sociale costruita che dovrebbe dare leggerezza, invece intrappolava e portava le vittime nel suo mondo.
Partendo dalla sua infanzia, ci si trova di fronte a una famiglia altamente disfunzionale, dunque ha introiettato qualcosa di doloroso, pericoloso e violento. Ha costruito la sua maschera sociale al mondo, veicolo per esserci, ma anche un mondo segreto che lo ha condotto a compiere efferati omicidi.”