
Si fa un gran parlare, con giusta perplessità, di conflitto di interessi quando riguarda la politica, oppure alcune categorie professionali. E se a decidere su se stessi fossero gli stessi magistrati? È il caso della Corte costituzionale, che lo scorso luglio, con una sentenza che ha riguardato in primis altre categorie professionali, ha dichiarato illegittimo il tetto da 240 mila euro lordi alle retribuzioni statali, che era stato introdotto dal governo Renzi nel 2014. Il punto è che, a differenza dei dipendenti di altre pubbliche amministrazioni che devono aspettare un decreto della presidenza del Consiglio per farlo diventare effettivo, le toghe della Consulta sono un organo costituzionale, che può recepire in autonomia la propria decisione. Per ottenere il bonus, dunque, basta un documento interno. Riporta oggi il Fatto, che l'atto è stato redatto nelle scorse settimane. Ecco quindi l'aumento, scritto nero su bianco: si tratta di circa 85 mila euro annui (lordi) nello stipendio.
Ecco come è andata. A beneficiare del "bonus" non sono stati solo i giudici della Consulta. Il tetto è saltato anche per i giudici della corte di Cassazione. Il primo presidente, a capo della magistratura ordinaria, è tornato a guadagnare come dieci anni fa, ovvero 311.658 euro lordi. E visto che, per legge i giudici costituzionali devono avere uno stipendio superiore del 50 per cento rispetto al numero uno degli ermellini, anche la retribuzione delle toghe della Consulta è risalita al livello precedente: 311.658 più la metà, ovvero 467.487 euro lordi l’anno. Così nelle scorse settimane sono arrivate a redigere un atto interno per adeguarsi alla loro stessa decisione: da 382.691 euro lordi annui, cioè 14 mila euro netti al mese, arriveranno a prenderne 467.487, circa 18 mila al mese.
Così si legge nelle motivazioni: nonostante il limite di 240 mila euro sia considerato incostituzionale solo per i magistrati, “avendo il legislatore adottato una scelta normativa a carattere
generale e senza operare alcuna distinzione tra le diverse categorie di lavoratori (...) l’annullamento della disciplina non può che riguardare tutte le categorie assoggettate al tetto”. Compresi i giudici costituzionali.