Nessuna scarcerazione per i due egiziani fermati a Milano con l'accusa di terrorismo. Per Alaa Rafaei e Mohamed Nosair, gli avvocati avevano chiesto la misura degli arresti domiciliari. Il legale Emanuele Perego, difensore di Rafaei, ha già annunciato l'intenzione di ricorrere al tribunale del Riesame per chiedere l'annullamento dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Nel provvedimento del giudice si legge che i due "hanno partecipato attivamente a una rete digitale via social, di carattere internazionale, la cui finalità è espressamente quella di diffondere l'apologia e il proselitismo nei confronti dell'Isis e di esaltarne i metodi violenti e le azioni truci". Secondo il gip, inoltre, i due "non si sono limitati a fruire, in maniera passiva od occasionale, delle informazioni diffuse attraverso la rete ma hanno attivamente provveduto alla loro condivisione e al loro continuo rilancio". Non solo hanno effettuato bonifici a favore delle "donne dello Stato islamico", e non conta che i contributi economici in sé non fossero di rilevante entità: "Quello che conta è che gli indagati abbiano dimostrato un più che stabile inserimento nella struttura organizzativa digitale riconducibile all'Isis".
Le dichiarazioni fornite dai due egiziani nel corso dell'interrogatorio di garanzia non hanno convinto pienamente i giudici chiamati a una decisione, che per questa ragione non hanno modificato le disposizioni attuali. L'accusa, per i due, è di terrorismo e di presunta affiliazione all'Isis. In un momento storico così delicato come questo, in cui l'Europa ha alzato al massimo l'allerta per possibili nuovi attentati anche legati alla guerra in corso in Medio Oriente, la possibilità che i due possano essere legati a una delle più sanguinarie organizzazioni terroristiche costringe a mantenere alto il livello di attenzione.
Nello specifico, Rafaei aveva spiegato ai giudici "di non essere affiliato all'Isis, ma di aver mandato piccole somme di denaro nei campi profughi per aiutare donne e bambini, senza essere a conoscenza che era il campo delle vedove e degli orfani dell'Isis". Quindi, aveva aggiunto: "Con l'Isis condivido l'astio verso Assad e la Siria, e come cittadino italiano, che da 23 anni vive in Italia e che qui ha portato i suoi tre figli, mai avrei potuto pianificare un attentato in Italia, che è il Paese della libertà, o in Occidente". Una versione molto simile a quella di Nosair, al momento assistito dall'avvocato Massimo Lanteri.
Stando a quanto riporta il legale, anche lui avrebbe dichiarato al gip che i soldi erano solo "beneficenza" per cercare di mettere un argine "alle condizioni disagiate" di donne e bambini, non certo un finanziamento a movimenti di matrice terroristica. Ma queste giustificazioni non sono state sufficienti per convincere il gip, secondo il quale i due sarebbero parte del "modello frammentato" dell'Isis. Ora bisognerà attendere l'esito del ricorso al tribunale del Riesame per capire se almeno uno dei due, o entrambi, verranno rilasciati o, comunque, se verranno loro concessi gli arresti domiciliari.
L'avvocato Emanuele Perego considera "non sussistente la qualità dell'esigenza cautelare, in particolare la pericolosità sociale". La tesi dell'avvocato si basa anche sulla non reazione del suo assistito alla perquisizione effettuata nei suoi confronti.
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