Morì per l'epatite contratta durante il parto. Ma per il risarcimento ci sono voluti 50 anni

Una donna, scomparsa nel 2018, contrasse l'epatite C nel 1978, durante il parto, dopo aver assunto un emoderivato. E a quasi mezzo secolo dai fatti, il marito ed i due figli saranno risarciti dal ministero della Sanità

Una clinica (Foto di repertorio)
Una clinica (Foto di repertorio)
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Aveva a quanto sembra contratto l'epatite C durante il parto, nel lontano 1978, assumendo un emoderivato. La malattia le influenzò negativamente il resto della vita e ne causò a quanto parte anche la dipartita, nel 2018. E nelle scorse ore, a quasi mezzo secolo di distanza dai fatti, i familiari della donna protagonista di questa vicenda che arriva dalla Toscana avranno diritto ad un risarcimento. Lo ha deciso la Corte d’appello civile di Firenze, ribaltando il verdetto di primo grado e riconoscendo al marito e ai due figli della donna il danno subìto: un indennizzo pari a 1.400.000 euro, a carico del ministero della Sanità. Stando a quel che riporta stamani il quotidiano La Nazione, tutto iniziò quarantasette anni fa: in occasione del ricovero per parto presso la Casa di Cura Kraus del capoluogo toscano, alla donna venne somministrato l’emoderivato Partobulin. In seguito a questa assunzione scoprì, negli anni seguenti, di aver contratto l’epatite C. Ma fu necessario del tempo per arrivare ad individuare la causa: già trent'anni fa, nel 1995, la donna presentò istanza amministrativa di indennizzo, convinta però di aver contratto il virus in seguito ad un’emotrasfusione.

E per questo, la Commissione Medica Ospedaliera competente si pronunciò negativamente il 25 novembre 1998, “negando efficienza causale alla suddetta trasfusione, poiché era stato rintracciato il donatore e ne era stata riscontrata la negatività al virus”. Incassato il verdetto negativo, la donna presentò una nuova istanza in sede amministrativa nel 2006, adducendo stavolta quale causa della malattia la somministrazione dell’emoderivato nel 1978 (oltre che nei due anni successivi per via di due interruzione volontarie di gravidanza avvenute all’ospedale di Santa Maria Nuova). In quel caso, la Commissione Medico Ospedaliera riconobbe “la sussistenza del legame eziologico”, ma respinse di fatto la domanda perché presentata a troppo tempo di distanza dall'accaduto. E proprio nelle scorse ore, dopo una prima sentenza sfavorevole, è arrivato per l'appunto il riconoscimento dell'indennizzo da parte del tribunale civile d’appello. Una somma che andrà a beneficio della famiglia, perché la donna nel frattempo è deceduta.

“Non vi è dubbio che sia il marito che i due figli subirono, a causa della malattia e della morte della donna, un radicale sconvolgimento della propria vita - si legge nella sentenza -in particolare il marito, che si trovò nel corso della malattia, a dover assistere la propria moglie, in forza del presumibile rapporto di solidarietà che normalmente intercorre tra coniugi conviventi, in occasione dei numerosi controlli e trattamenti, sottraendo verosimilmente tempo ed energie ad altre attività, con conseguente rilevante riduzione della propria sfera gestionale nonché sensibile alterazione delle proprie abitudini e rapporti relazionali inter ed extra familiari. E, una volta sopraggiunta la morte della moglie, a dover fare i conti con il grande vuoto lasciato dalla scomparsa della propria compagna, con cui aveva condiviso oltre 40 anni di vita coniugale”.

Una storia che non si è ancora chiusa del tutto, a quanto sembra: la causa va infatti avanti per la valutazione del danno psichiatrico che avrebbe subito il marito della donna. E potrebbero quindi esserci ulteriori sviluppi.

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