
Ci sono voluti quarantadue anni. Un tempo quasi infinito. Quarantadue anni fa veniva arrestato Enzo Tortora, presentatore e giornalista, una vita distrutta dal connubio tra pubblici ministeri e giudici. Oggi il suo ricordo viene celebrato alla vigilia dell’approdo in Senato della legge che della battaglia combattuta da Tortora fino alla morte è la prima conseguenza concreta: la separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica, la riforma costituzionale che per decenni è stata bloccata dall’Associazione nazionale magistrati. Si sono ritrovati in tanti, oggi, nel cimitero milanese dove riposa l’uomo che era una presenza familiare, rassicurante, nei salotti degli italiani: e che una mattina d’estate venne trascinato via in ceppi, marchiato come narcotrafficante e complice di camorristi. I pentiti avevano inventato tutto, per offrire ai «loro» pm la preda che li avrebbe fatti diventare famosi. Né i magistrati della Procura né i loro colleghi del tribunale si fermarono davanti alla inverosimiglianza, alle contraddizioni, agli elementi a favore. "Oggi siamo qui per mio padre e per tutte le persone che non possono essere qui. Sono tante, troppe”, ha detto la figlia, Gaia Tortora. “Il nostro compito è quello di portare avanti la loro voce. L’Associazione nazionale magistrati ha detto che non è il caso di istituire una giornata per le vittime degli errori giudiziari, perché questo avrebbe gettato discredito sulla magistratura.
Trovo folle che in Italia per istituire una giornata del genere, quando ne abbiamo una per qualsiasi cosa, si debba ascoltare l’Anm. Un sintomo preoccupante della nostra politica. Ma a noi non interessa e oggi la celebriamo lo stesso”.