Filippo Piritore, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo ed ex prefetto, è finito agli arresti domiciliari per il suo ruolo nel depistaggio dell'indagini sull'omicidio dell'ex presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella. Lo rende noto la Procura di Palermo. Sentito dai pm, a settembre 2024, sul guanto trovato il giorno del delitto a bordo della Fiat 127 utilizzata dai killer, mai repertato né sequestrato, secondo i magistrati ha mentito e detto il falso. In particolare, avrebbe reso dichiarazioni "rivelatesi del tutto prive di riscontro, con cui ha contribuito a sviare le indagini funzionali (anche) al rinvenimento del guanto (mai ritrovato)".
Piritore e il depistaggio
Ritenuto un tassello fondamentale per risalire agli autori dell'omicidio, il guanto è sparito nel nulla. Ai pm, che l'hanno sentito come testimone a settembre del 2024, Piritore ha raccontato, mentendo secondo la Procura di Palermo, di aver inizialmente affidato il guanto all'agente della polizia Scientifica Di Natale che avrebbe dovuto darlo a Pietro Grasso, allora sostituto procuratore titolare delle indagini sul delitto. Il magistrato, sempre secondo il racconto di Piritore, avrebbe poi disposto di far riavere il reperto al Gabinetto regionale di Polizia scientifica e Piritore, a quel punto, lo avrebbe consegnato, con relativa attestazione, a un altro componente della Polizia scientifica di Palermo, Lauricella, per lo svolgimento degli accertamenti tecnici.
L'indagato ha anche sostenuto che la Squadra mobile era in possesso di una annotazione da cui risultava la consegna. Secondo l'accusa, però, quella raccontata dall'ex funzionario sarebbe una storia inverosimile e illogica da cui verrebbe fuori che una prova decisiva, tanto che della sua esistenza fu informato anche l'allora ministro dell'Interno Rognoni, sarebbe stata sballottata per giorni senza motivo da un ufficio a un altro. Le parole dell'ex funzionario, inoltre, cozzano con le testimonianze dei protagonisti della vicenda come Piero Grasso e l'agente Di Natale; con la prassi di repertare e sequestrare quanto ritenuto utile alle indagini seguita all'epoca in casi analoghi e col fatto che al tempo, alla Scientifica, non c'era nessun Lauricella. "Filippo Piritore, consegnatario del guanto sin dal momento del suo ritrovamento, pose in essere un'attività che ne fece disperdere ogni traccia - gli contestano invece i pm -. Essa iniziò probabilmente a partire dall'intervento sul luogo di ritrovamento della Fiat 127, ove indusse la Polizia scientifica a consegnargli il guanto, sottraendolo al regolare repertamento e contrariamente a ciò che di norma avveniva in tali circostanze".
Il ruolo di Bruno Contrada
Nell'inchiesta spunta anche il nome di Bruno Contrada, l'ex numero due del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e che aveva rapporti con la mafia di Michele Greco e Totò Riina. Quel giorno era sul luogo del delitto per partecipare alle indagini e, il 6 gennaio 1980, insieme all'ufficiale dei carabinieri Antonio Subranni e all'allora pm Piero Grasso, acquisì informazioni sia dalla vedova di Mattarella, Irma Chiazzese, che dal figlio Bernardo, entrambi presenti all'omicidio. Lo stesso Piritore ammette di aver informato del guanto Contrada. "Avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dottor Grasso e di mandare i reperti alla Scientifica", ha detto ai pm l'indagato. Contrada e Piritore, infine, secondo i magistrati, erano amici e si frequentavano anche oltre il lavoro.
L'indagine sugli esecutori del delitto e l'impronta sulla 127
Quella di oggi è una tranche dell'indagine che vede come indagati per il delitto, come esecutori materiali, mai individuati, i boss Nino Madonia e Giuseppe Lucchese. Allo stato sono i corso gli accertamenti tecnici con nuove tecnologie per estrarre il Dna su una impronta ritrovata 45 anni fa nello sportello lato guidatore della Fiat 127 usata dall'assassino. Dopo il delitto l'impronta fu isolata, ma fu considerata inutilizzabile per potere svelare l'identità di chi l'aveva lasciata sulla carrozzeria. Il vetrino potrebbe avere catturato delle tracce biologiche comparabili con il Dna degli indagati Madonia e Lucchese. Per l'omicidio Mattarella, sono stati condannati (sentenza definitiva) come mandanti i componenti della commissione provinciale di Cosa nostra dell'epoca come Salvatore Riina, Michele Greco e Francesco Madonia, mentre vennero assolti gli ex Nar Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini accusati di essere gli esecutori materiali del delitto. Madonia sarebbe l'uomo "dagli occhi di ghiaccio" descritto in vari identikit, figlio del capomafia di Resuttana, Francesco, e appartenente a una delle famiglia di mafia più potenti di Palermo.
Il movente dell'assassinio
Sul movente dell'assassinio la Corte d'Assise, ritenne che Mattarella da presidente della Regione aveva intrapreso una "politica di rinnovamento, resa ancor più incisiva per i poteri di controllo che lo stesso aveva come presidente e che, per primo nella storia della Regione, aveva esercitato anche nei confronti del Comune". Il riferimento era agli appalti e alla contrapposizione dell'ex presidente al sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, al cui rientro nel partito Mattarella si era fermamente opposto.
Il processo ha accertato che tra le cause dell'omicidio di Piersanti Mattarella inoltre c'era l'azione di profondo rinnovamento che la vittima esercitava tentando di spezzare il legame fra Cosa nostra e certa politica.