"Il filo conduttore che ha spinto l’autore del reato, ben prima di entrare nell’appartamento, è quello del 'o con me o con nessun altro'”. Lo scrive il giudice preliminare Tommaso Perna nel provvedimento con cui ha convalidato il fermo ed emesso la misura cautelare in carcere per Gianluca Soncin, che il 14 ottobre è entrato nell'appartamento milanese della fidanzata Pamela Genini e l'ha uccisa a coltellate. Secondo gli inquirenti, Soncin aveva il preciso scopo di togliere la vita alla ragazza, che fino all'ultimo lo ha implorato (invano) di smettere di colpirla, cercando di convincerlo che sarebbe rimasta insieme a lui. “Non lo farò più … ti amo … smettila, ho una famiglia”, sono state le ultime parole della ragazza, riferite da una vicina di casa.
Da tempo, come ha riferito sempre l'ex compagno di Genini, lei aveva intenzione di interrompere la relazione, ma "non vi era riuscita per timore di essere uccisa dal compagno, che era 'ossessionato da lei". La sua ossessione, e la sua volontà di costringerla a non lasciarlo, è la ragione dell'omicidio: una ragione che per il giudice "è futile e bieca, non meritando alcun tipo di umana comprensione". Resta "l'amarezza di constatare" che, il 9 maggio scorso, quando la Polizia arrivò a casa di Pamela Genini dopo una "richiesta di aiuto" da parte sua, la 29enne "ha dipinto un quadro non sufficientemente allarmante della vicenda". La donna, infatti, non ha mai denunciato, spiega ancora il gip.
Osserva ancora Perna che c'è stata "una vera e propria spedizione dell'uomo a casa della donna, decisa almeno una settimana prima, se non prima ancora, quando si è munito del duplicato delle chiavi dell'abitazione della vittima". L'ex fidanzato della donna, sentito dagli inquirenti, ha confermato che Soncin era riuscito ad avere un duplicato delle chiavi del suo appartamento, nonostante lei non volesse e gli avesse anche vietato di fotografare il mazzo stesso. La ferma volontà dell'uomo di toglierle la vita è "massima", si legge ancora nel provvedimento, come si evince dal fatto che anche dopo che le forze dell'ordine erano entrate nello stabile, e persino dopo che si erano ricavate uno spiraglio sull’uscio della porta dell’abitazione, "il Soncin si è diretto verso la porta e lucidamente l’ha richiusa per terminare il lavoro iniziato".
Il giudice preliminare ha anche osservato, riconoscendo quindi la crudeltà, che la 29enne ha sofferto moltissimo prima di morire. Inoltre ha capito che cosa le stava accadendo, visto che molte delle ventiquattro coltellate che le sono state inferte "non hanno attinto organi vitali. Ha acquisito consapevolezza dell'imminente fine".