
Dopo la morte del brigadiere capo Carlo Legrottaglie a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, era scattata la caccia ai banditi responsabili dello scontro a fuoco nel quale il carabiniere aveva perso la vita. E in breve i due erano stati intercettati mentre tentavano di nascondersi nelle campagne della zona: per catturarli erano piombati sul posto due Falchi del commissariato di polizia di Grottaglie, nel Tarantino. Uno dei due malviventi, il 57enne Camillo Giannattasio, si era arreso subito. L’altro, Michele Mastropietro, 59 anni, l’uomo che probabilmente aveva sparato contro Legrottaglie ammazzandolo, invece - anche se è già ferito - impugna ancora la pistola, spara anche contro gli agenti che rispondono al fuoco e lo uccidono. E mentre l’Italia piange la morte di Legrottaglie, i due poliziotti, entrambi 50enni, si ritrovano indagati dalla procura di Taranto: a iscriverli nel registro degli indagati è il pm Francesco Ciardo, che ipotizza per i due il reato di omicidio colposo, legato a un eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi.
“Atto dovuto”, si affrettano a precisare gli inquirenti. Ma non tutti accolgono la notizia come fosse una normale routine. Già l’avvocato di uno degli agenti, Antonio Maria La Scala, pur ammettendo che si tratta di un “atto doveroso” a caldo si era sfogato: “Sotto un profilo umano, da cittadino e non da avvocato, sono dispiaciuto che due agenti che hanno rischiato la vita in un conflitto a fuoco siano loro adesso ad essere indagati”. E anche il legale dell’altro poliziotto, Giorgio Carta, ammette in un post sui suoi social che l’iscrizione nel registro degli indagati è un “atto dovuto” che “ci consentirà di partecipare a momenti chiave dell’accertamento tecnico, in primis l’autopsia”, e che dunque “tutela anche i poliziotti indagati”. Ma il problema, sottolinea l’avvocato Carta, “è il dopo”. “Quando – prosegue – una volta chiarite le dinamiche, l’indagine o il processo si chiudono con un pieno proscioglimento, si apre un paradosso tutto italiano”. Ossia il rischio che “il rimborso delle spese legali” al poliziotto non sia “scontato né integrale”. Insomma, atto di indagine dovuto, rimborso non tanto, visto che l’avvocatura dello Stato può discrezionalmente rimborsare solo in parte la parcella per “contenimento della spesa pubblica”. Un bel problema, al quale si aggiunge un altro “obbligo” che grava sugli agenti, ossia l’azione disciplinare e la contestuale apertura di un fascicolo disciplinare da parte dell’ufficio di appartenenza, con tutti i problemi che ne possono derivare.
Ma tra chi storce il naso di fronte alla notizia dei poliziotti indagati c’è anche il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Uilpa, Gennarino De Fazio, che esprime “sgomento e persino umana indignazione”. Pur chiarendo: “Non invochiamo improbabili scudi penali, ma certo è auspicabile un quadro giuridico che non imponga di mettere sotto indagine, come atto dovuto, quando non ci siano elementi per farlo, servitori dello Stato che rischiano ogni giorno concretamente la vita”.
Per De Fazio, insomma, si potrebbe consentire agli uomini e donne in divisa di nominare legali e consulenti senza passare per l’iscrizione nel registro degli indagati anche quando “non si ravvisino profili di responsabilità”.