Prosciolto la seconda volta. "Intanto l'azienda fallisce"

La parabola dell'imprenditore Tali

Prosciolto la seconda volta. "Intanto l'azienda fallisce"
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E due. Pietro Tali (nel tondo) era stato incriminato dalla Procura di Milano quando era amministratore delegato di Saipem, colosso di Stato: gli distrussero la carriera, venne processato e assolto. Da sardo cocciuto mise in piedi una sua azienda, sempre nel settore energie. Stavolta gli andò peggio: la Procura di Pavia nel 2021 lo arrestò per truffa allo Stato e associazione a delinquere, le immagini del raid con gli elicotteri finirono in televisione. Ieri viene prosciolto, «il fatto non sussiste».
La sua azienda, intanto, va verso il fallimento.
L’azienda si chiama Bioelevano, energia prodotta col legname di scarto, un mercato di nicchia, in buona parte assistito, ma dove fin dall’inizio Tali era certo di avere rispettato tutte le regole. In una intervista del 2021 al Giornale, poco dopo avere lasciato gli arresti domiciliari, si era mostrato sicuro di come sarebbe andata a finire: «L’azienda fallirà e io verrò assolto. Ma verrò assolto tra cinque o dieci anni, quando di questa storia non importerà più a nessuno». Di anni ne sono bastati tre ma solo perché ieri un giudice preliminare a Pavia rifiuta di mandare Tali e i suoi coimputati a giudizio come la Procura insisteva a chiedere: altrimenti, se si fosse andati al processo, per arrivare a una assoluzione definitiva dieci anni non sarebbero forse bastati. Intanto, per la seconda volta in vita sua, Tali ha sperimentato il trattamento che la società riserva agli indagati: «Le banche ti chiudono il conto, gente con cui aveva un’amicizia fa finta di non conoscerti. Non vogliono correre il rischio di fare la tua fine».
Per fortuna delle Procure, non tutti gli indagati sono cocciuti come Pietro Tali.
L’anno scorso, con le indagini preliminari ancora aperte, si ribellò a un trattamento che altri inquisiti avrebbero subìto in silenzio: denunciò gli investigatori dei pm che avevano offerto una via d’uscita a un altro indagato se si fosse prestato ad accusarlo; il coindagato invece di accettare la proposta aveva registrato il colloquio con i finanzieri; e il nastro era stato depositato da Tali alla Procura di Cuneo, che aveva aperto un’indagine per violenza privata a carico degli investigatori ma aveva chiesto quasi subito l’archiviazione del fascicolo. Ma la scelta di accusare i suoi accusatori aveva catalogato Tali nella schiatta (non nutritissima) degli indagati indomiti.
Ieri, come lui stesso aveva previsto, il manager-imprenditore viene prosciolto. Ma la faccenda forse non si chiude qui. Perché nella stessa intervista in cui definiva i suoi inquirenti «asini in malafede» Tali prometteva: «Stavolta giuro che la pagheranno. Ho settantun anni e sono ostinato.

Chi deve finire in galera ci finirà, chi ha commesso illeciti disciplinari ne risponderà al Consiglio superiore della magistratura».
Spera di riuscirci? «A cinquant’anni si fanno le battaglie che si pensa di vincere.
A settant’anni quelle che si devono a se stessi. Diciamo che è una questione di dignità».

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