
Il sacerdote bresciano Jordan Coraglia, noto nel mondo ecclesiale anche per la sua attività sportiva, verrà giudicato con rito abbreviato – scelta che, in caso di condanna, potrà comportare una riduzione fino a un terzo della pena – per il reato di detenzione di materiale pedopornografico. La decisione è stata accolta dal gup Alessandra Sabatucci su richiesta della difesa, guidata dall’avvocato Paolo Inverardi. L’udienza preliminare nei confronti di don Coraglia è stata fissata al 19 dicembre.
Il contesto e le accuse
Don Coraglia è agli arresti domiciliari da maggio scorso, in un eremo della Vallecamonica, senza possibilità di accedere a Internet. Le indagini – condotte dalla polizia postale su delega della procura di Roma e con coinvolgimento anche della questura romana – hanno portato al sequestro di circa 1.500 file tra foto e video pedopornografici contenenti immagini di minori, in particolare ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni. Secondo l’accusa, il sacerdote non si sarebbe limitato a conservare questi materiali, ma avrebbe partecipato all’organizzazione di gruppi su Telegram e Instagram dediti allo scambio di contenuti illegali, utilizzando Sim estere e strumenti per anonimizzare la navigazione. In particolare, uno dei canali individuati era denominato "Ita" e vi sarebbero state condivise immagini e video espliciti di minori, in molti casi provenienti da Paesi poveri.
Durante le chat ingaggiate con alcuni minorenni, il sacerdote si sarebbe finto adolescente per instaurare un dialogo con un quindicenne. Un ulteriore elemento emerso nelle indagini riguarda un medico torinese di 40 anni, già attivo nel dark web da oltre un decennio, che, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto contatti con Coraglia. Insieme avrebbero progettato la creazione di un gruppo pedopornografico esclusivamente italiano con la finalità di reclutare altri soggetti dediti alla produzione e allo scambio di materiale pedopornografico.
Il "prete-calciatore" e l’immagine pubblica rovesciata
Prima che le accuse emergessero, don Coraglia era noto soprattutto nella comunità ecclesiale e in ambito sportivo. Nato nel 1974, è stato ordinato presbitero nel 2005. Ha svolto vari incarichi come vicario e vice parroco, nelle parrocchie di Sale di Gussago, Urago Mella e nella diocesi di Brescia, prima di essere nominato parroco di Castelcovati, con anche le responsabilità pastorali nelle comunità di Cizzago e Comezzano. Parallelamente al suo ministero, Coraglia era molto attivo nell’attività sportiva, soprattutto come promotore e presidente della Nazionale italiana sacerdoti, formazione che nel 2019 aveva avuto l’occasionale incontro in piazza San Pietro con Papa Francesco.
Si ricordano anche aneddoti mediatici: quando don Coraglia si presentò a papa Francesco con una maglia recante il nome "Francesco" e il numero 6, il pontefice ironicamente replicò: "Qualche volta dite la messa o no?". L’immagine che emergeva era quella di un sacerdote "sportivo, vicino ai giovani, avulso dalla sagrestia", come lui stesso dichiarava, ma ora è fortemente incrinata dalle accuse che gli vengono rivolte.
Le reazioni e le prospettive giudiziarie
La diocesi di Brescia ha sospeso immediatamente Coraglia dalle sue funzioni pastorali e ha espresso "profonda tristezza" per la vicenda, assicurando piena collaborazione alla magistratura. Nelle comunicazioni ufficiali, la diocesi ha sottolineato che finora non risulta alcun minorenne della comunità parrocchiale coinvolto né condotte inappropriate da parte del sacerdote nei confronti della propria comunità. È anche prevista un’eventuale inchiesta canonica nei tempi stabiliti dalle norme ecclesiastiche. Sotto il profilo giudiziario, la scelta del rito abbreviato è significativa: l’esame del caso sarà basato sugli atti dell’indagine preliminare, senza dibattimento pieno, e potrebbe condurre a una pena ridotta se la condanna sarà pronunciata.
L’udienza di ammissione al rito è attesa per la data indicata, mentre il processo vero e proprio si terrà con le modalità previste dal rito abbreviato.
In attesa del giudizio, rimane in vigore la misura cautelare ai domiciliari e l’isolamento digitale che impedisce ogni accesso a Internet. Resta da vedere come evolverà in aula e quale sarà la reazione dell’opinione pubblica, della comunità ecclesiale e delle vittime, nel caso in cui emergeranno elementi ulteriori.