
Un silenzio durato sei mesi, interrotto solo da un comunicato di precisazione un po' stizzita, quando il circo mediatico intorno al caso Garlasco aveva superato il livello di guardia.
Eppure, nel silenzio con cui la Procura di Pavia ha condotto l'indagine su Andrea Sempio, era palpabile una certezza assoluta dei pm sulla solidità del materiale che portava ad accusare per l'uccisione di Chiara Poggi un colpevole diverso da Alberto Stasi. Era una certezza che appariva non giustificata dalla parte emersa dell'inchiesta, quella che ufficialmente aveva dato il via al nuovo fascicolo: le tracce del Dna di Sempio sulle unghie della vittima. Che bastasse quello a ribaltare una sentenza passata in giudicato appariva inverosimile. Ma Fabio Napoleone e il suo vice Stefano Civardi andavano avanti, a testa bassa. E per chi li conosce, la spiegazione era una sola: avevano in mano molto di più di quanto fosse noto. Una o più
prove in grado di legare in modo ineluttabile Sempio al delitto, di collocarlo senza ombra di dubbio nella villa di via Pascoli la mattina del 13 agosto 2007.
Ieri arriva il botto. Che era stato preceduto, il 20 maggio, da una rivelazione che i pm tenevano nel cassetto dall'inizio, l'impronta 33 lasciata da Andrea Sempio sulle scale di casa Poggi: e già lì si era capito che la parte emersa dell'inchiesta era assai meno vasta di quella ancora sconosciuta. Ora si scopre che pochi giorni prima di quella «discovery» delle loro carte, i pm pavesi incassano un risultato probabilmente decisivo, l'appunto sui pagamenti in cambio dell'archiviazione dell'indagine che salta fuori in una perquisizione a casa Sempio.
È un risultato che non coglie alla sprovvista gli inquirenti: perché è la conferma documentale di quanto avevano già raccolto, tra intercettazioni e testimonianze, scavando all'interno degli ambienti pavesi dell'Arma dei carabinieri. Quasi tutti gli uomini
che prestavano servizio a Pavia all'epoca in cui si consuma l'insabbiamento dell'indagine, tra il 2017 e il 2020, sono stati interrogati. E' lì che la Procura si convince dell'esistenza di una zona nera che ha nascosto la verità sul delitto di Garlasco. Tra i nomi che vengono fatti, sia a verbale che fuori verbale, quello che ricorre più spesso è quello di Silvio Sapone, il maresciallo di fiducia del procuratore Mario Venditti.
Da quando salta fuori l'appunto, la strada per l'inchiesta si fa tutta in discesa.
Proseguono anche le indagini che finiscono in tv: l'alchimia delle tracce genetiche, degli schizzi di sangue, la rilettura delle impronte. Ma è un fuoco di facciata che nasconde la vera sostanza della nuova indagine: che ha poco di ultramoderno, e molto di tradizionale.