Gli inquirenti sono quasi certi d'aver chiuso il cerchio. Ieri mattina due uomini, 38 e 39 anni, e due donne, 31 e 40 anni, provenienti dalla regione parigina, sono stati arrestati nel terzo blitz concernente l'inchiesta del Louvre. Tra loro ci sarebbe il quarto membro del commando che lo scorso 19 ottobre è riuscito a mettere a segno il «furto del secolo» rubando la collezione dei gioielli della Corona napoleonica, tuttora introvabile; per poi fuggire in scooter, in pieno giorno, scendendo con un montacarichi dalla stessa portafinestra da cui la banda era entrata indisturbata, ormai diventata un'attrazione turistica da fotografare dalla strada.
L'ultimo era ancora ricercato. A 38 giorni dal «colpo», l'apparente svolta. Lente puntata su un francese: originario di Aubervilliers, preso ieri a Laval, 280 km a Ovest di Parigi, dov'è sotto interrogatorio con l'accusa di «rapina organizzata» e «associazione a delinquere». Lui, come gli altri tre, può essere trattenuto fino a 96 ore. Nel primo blitz del 25 ottobre, furono due i trentenni fermati, incriminati e in custodia cautelare, sospettati di essere entrati nella Galerie d'Apollon indossando gilet gialli per spacciarsi per operai edili. Il Dna del primo, Abdoulaye N., noto su YouTube come Doudou Cross Bitume, è stato trovato su una delle vetrine rotte e sulla corona dell'imperatrice Eugenia recuperata danneggiata, lasciata da questo tassista senza licenza, che per primo ha ammesso d'aver partecipato al furto definito su commissione. Il Dna del suo presunto complice è stato trovato su uno dei due Tmax utilizzati nella fuga. Un terzo presunto membro della banda è stato incarcerato il 29 ottobre. Originario di Seine-Saint-Denis, conta 11 condanne e reati relativi di violenza e 10 furti con scasso. Era stato condannato nel 2015. Mancava il quarto uomo, mentre la refurtiva è tuttora dispersa. Valore: 88 milioni.
Al di là del furto, e oltre alla denuncia della Corte dei Conti sui mancati investimenti in sicurezza, al Louvre sono emerse altre criticità. Strutturali. Lunedì 17 novembre è stata chiusa al pubblico fino a nuovo ordine la Galleria Campana, che ospita sale dedicate alla ceramica greca antica; urgono «indagini sulla fragilità di alcune travi che sostengono i pavimenti». Debolezze strutturali del secondo piano. «L'abbiamo evacuata per valutare il livello di sicurezza», ha spiegato la ministra della Cultura, Rachida Dati, che ha poi scosso i media: «Per riportare il museo a norma e operativo, sarebbe quasi necessario chiuderlo definitivamente». Ma Dati ha parlato della necessità di non «privare i visitatori» delle bellezze del Louvre e «il personale del loro lavoro». Dunque, necessario procedere «per fasi».
La rapina, oltre a essere oggetto di scherno sui social, con contenuti generati dall'Ai e meme di ogni genere, ha innescato pure una campagna di disinformazione extra-Ue: un video comparso in rete il 18 novembre sosteneva infatti che i gioielli fossero stati «trovati a casa di un collaboratore di Zelensky» in
Ucraina: Timur Mindich, perno dello scandalo di corruzione che ha scosso il governo gialloblù. Fake news che ha ottenuto milioni di visualizzazioni in francese e inglese. Dietro il video, si nasconderebbe la propaganda russa.