Cronaca internazionale

Soldi, armi e supporto a Kiev: cosa c'è dietro la "stanchezza" della Nato

L'Occidente si è legato mani e piedi in Ucraina. Ma dopo un anno e mezzo, il conflitto non accenna a finire: una prospettiva che impone la precedenza dell' "interesse nazionale"

Soldi, armi e supporto a Kiev: cosa c'è dietro la "stanchezza" della Nato

Occidente in un cul-de-sac. L’ultimo weekend è stato parco di buone notizie per le sorti di Kiev: l’accordo per evitare lo shutdown negli Stati Uniti e la vittoria dei filorussi in Slovacchia, sembrano marcare un sentimento strisciante da tempo. Una certa “stanchezza”, come l’ha definita maliziosamente il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che cozza con l’afflato che sembrava aver mosso governi (e cittadini) nei primi mesi del conflitto.

"Stanchezza" dell'Occidente?

Le ragioni dell’Ucraina convincono di meno? Oppure c’è qualcosa di più che costringe, o almeno fa ipotizzare, di allentare la mano che sostiene Kiev? La guerra giunge al suo secondo inverno, al giorno 570esimo. Mosca non accenna a mollare la presa: diversioni, ricalcoli, riorganizzazione, golpe, il Cremlino sembra riuscire a cadere sempre in piedi. Anche la controffensiva ucraina, sebbene offra sprazzi di fugace entusiasmo, procede a passo lento. Di previsioni sul prossimo inverno, ve ne sono di ogni tipo, dalla più generosa alla più fosca. Nel mezzo, nessun cenno di negoziato, tanto meno con la collaborazione di mediatori (improbabili) nei quali si era, per paradosso, sperato: in altre parole Cina e Turchia.

La guerra in Ucraina non accenna a finire. E presumibilmente si trascinerà per ancora molto tempo, come è chiaro a tutti. Il tempo che passa, in tempi incerti come questi, espone intere nazioni ad una crisi di coerenza sul sostegno a Kiev, a ragioni umane, troppo umane, che passano per il consenso, i conti dello Stato, campagne elettorali. Al, contempo Mosca, granitica, immutabile, vara la sua economia di guerra, con un piano di produzione bellica mai visto prima e investimenti a tanti, troppi zeri.

La disunione europea: quale "Occidente"?

Il 2 ottobre, il Consiglio Affari Esteri dell'Unione Europea, per la prima volta nella storia, si è tenuto in trasferta a Kiev, all’insegna del “La presenza è il messaggio”. "Siamo qui per mostrare che l'Ucraina fa parte della famiglia europea e che la sosterremo nel suo cammino verso l'Ue", ha notato, ad esempio, la francese Catherine Colonna. Anche Roma è pronta a fare la sua parte. Antonio Tajani, a quattr'occhi con il presidente Volodymyr Zelensky, ha assicurato che la difesa dell'Ucraina sarà la priorità del G7 italiano e che si sta lavorando "all'ottavo pacchetto di armi" da inviare a Kiev. "Vediamo quello che possiamo dare - ha spiegato il titolare della Farnesina - gli ucraini sono sempre interessati alla difesa aerea”. Ma l’ombra della stanchezza di fronte alla guerra di logoramento si è sentita forte nelle scorse ore a Kiev.

Josep Borrell, dopo essersi dichiarato "sorpreso" per quanto accaduto al Congresso americano, ha voluto concentrare l'attenzione sulla prova di unità mostrata dai 27 (in realtà 24): "Non vedo alcuno Stato membro vacillare", è corso a rassicurare, negando di vedere un rischio che Slovacchia e Ungheria possano bloccare gli aiuti militari. Ma se l’Europa non vacilla, il vecchio continente quantomeno pone dei problemi di prim’ordine.

Ad esempio, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, che mette in guardia l'Ucraina dallo stabilire una stretta alleanza con la Germania, mentre nella stessa giornata, il suo avversario, l'ex primo ministro Donald Tusk, ha guidato una manifestazione a Varsavia davanti a una grande folla. Tusk ha recentemente chiesto alla Polonia di fornire un aiuto militare incondizionato all'Ucraina: le sue osservazioni sono arrivate poco dopo che Morawiecki aveva annunciato che la Polonia avrebbe smesso di inviare armi all'Ucraina per concentrarsi sulle proprie esigenze di sicurezza. Pochi giorni prima, la querelle con Zelensky sul grano della discordia, che continua a subire l’ostracismo di alcuni Paesi dell’Europa dell’est.

L'interesse nazionale e la frenata dell'Occidente

Di fronte alle crisi, le levate di scudi sono comprensibili. Sono figlie della paura, proprio come è accaduto durante la pandemia. L’interesse nazionale diventa il pilota automatico con cui i governi procedono, quando le casse si svuotano e non si conosce la fine della crisi, che in questo caso è una guerra di puro logoramento, alla vecchia maniera. L’illusione del villaggio globale ha portato a credere che di fronte all’incertezza e al pericolo, il mondo potesse agire come un villaggio di vecchi hippy festosi attorno al Palazzo di Vetro.

Le cose sono molto più complesse. Il prolungarsi di un conflitto, al di dei suoi simbolismi, stanca anche l’alleato più prodigo. Il problema, ora, non è più solo economico e di sicurezza, ma anche esistenziale. L’Occidente ha legato mani a piedi alla causa dell’aggredito, la sua battaglia contro questo nuovo “Impero del Male”, garantendo un sostegno senza fondo. Ora quel sostegno rimarca la disunione europea, ma soprattutto mette in luce i limiti che perfino una superpotenza come gli Usa possiedono.

Per appoggiare una guerra, che sia difensiva o offensiva, servono i denari, e con essi il consenso di chi li controlla. Una cosa che Joe Biden e i democratici, tanto per citare qualcuno, non possono fare da soli. Sia perché non possiedono i numeri al Congresso, sia perché a stento sono riusciti a garantirsi un’amministrazione funzionante per appena altre sei settimane. Probabilmente, il sostegno a Kiev non finirà qui, ma il Pentagono che scopre “improvvisamente” di aver fatto male i conti sui fondi residui è segno che mala tempora currunt e che la campagna elettorale è entrata nel vivo. E c’è da scommettere, la parola "Ucraina" sarà pronunciata solo nei posti giusti da qui al novembre 2024.

Il dramma vero è che l’assistito, foraggiato e incoraggiato, da solo non è in grado di vincere militarmente questo conflitto. E l’Europa, per quanti passi abbia fatto, non è in grado di supportare le richieste di Kiev. Ma soprattutto, non dispone di un’efficace politica estera univoca su nulla: difficile contare, essere incisivi, nello scacchiere che cambia. Se, dunque, l’Occidente aveva giocato la sua sfida esistenziale puntando su Kiev, ora il disimpegno militare ed economico, rischia di lasciare l’Ucraina a terra.

Con una battaglia per l’Occidente da combattere, lei che Occidente esattamente non è.

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