Cronaca internazionale

Il continuo fallimento del multiculturalismo europeo

Bruxelles messa a ferro e fuoco dai tifosi del Marocco mostra ancora una volta la mancata integrazione con le comunità straniere che vivono nelle nostre città. È il fallimento del multiculturalismo europeo

Il continuo fallimento del multiculturalismo europeo

Forse qualcuno, all'interno dei palazzi del potere europeo, aveva rimosso le banlieue parigine messe a ferro e fuoco, le violenze davanti alla stazione di Colonia, le connessioni tra il Belgio e quella drammatica notte del 2015 in cui a Parigi furono trucidate 130 persone. Forse qualcuno si era completamente dimenticato dei quartieri trasformati dagli immigrati in "no go zone", in aree cioè dove le forze dell'ordine non possono entrare e gli abitanti sono costretti a convivere quotidianamente con la criminalità organizzata e leggi (non scritte) imposte dall'integralismo islamico. Forse, ieri sera, sempre in quei palazzi del potere europeo, quel qualcuno, dopo la vittoria sul Belgio ai mondiali quando i tifosi hanno messo a ferro e fuoco Bruxelles, si è fermato a riflettere sul fallimento del multiculturalismo in Europa.

Non è la prima volta e non sarà certo l'ultima. Lanci di pietre, proiettili e petardi. Abbiamo già assistito a scene del genere, soprattutto a Parigi. Auto incendiate, forze dell'ordine prese d'assalto. Sacche di odio che dilagano ovunque, come un virus. E il virus parte sempre da quei quartieri periferici dove da anni gli abitanti stranieri o di origine straniera hanno preso numericamente il sopravvento. Alcune sono banlieue difficili, altre addirittura "no go zone". All'interno dell'Unione europea, stando all'ultimo report redatto dal Migration Research Institute di Budapest, che però risale ormai a quattro anni fa, i territoires perdus sono almeno 900. E si concentrano quasi tutti negli Stati del centro-nord Europa: Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e, ovviamente, Belgio. Alle porte di Bruxelles, per esempio, c'è Moleenbek. Una sorta di città Stato, sicuramente il quartiere più islamico del Belgio, bastione del jihadismo di tutta Europa. Lì i musulmani pesano per il 30% della popolazione. In alcune zone si arriva addirittura al 45%. È in quelle vie che, dopo l'attentato del 13 novembre 2015 al Teatro Bataclan, lo jihadista Salah Abdeslam trovò riparo e rifugio per ben quattro mesi. Ed è dal Belgio che venivano pure gli altri due sanguinari terroristi del commando di Abdeslam, Chakib Akrouh e Abdelhamid Abaaoud.

A volte la mancata integrazione tracima in rivolte e devastazioni, altre in attentati di matrice islamista. Alla radice di entrambi gli attacchi c'è l'odio nei confronti dell'Occidente e dei Paesi stessi che li hanno accolti. Ieri sera a far esplodere la guerriglia per le vie di Bruxelles è stata la vittoria del Marocco sul Belgio ai Mondiali in Qatar. I tafferugli sono iniziati, poco dopo le tre del pomeriggio, in uno dei viali principali, Boulevard Anspach. Giovani marocchini dal volto incappucciato hanno preso d'assalto le forze dell'ordine. La violenza è poi degenerata nelle vie del centro, dove centinaia di tifosi hanno devastato qualunque cosa gli capitasse tra le mani, e si è allargata nei quartieri di Molenbeek e Schaerbeek. Quest'ultimo è considerato il cuore della comunità marocchina in Belgio. È in un appartamento di Schaerbeek che nel pomeriggio del 22 marzo 2016, dopo gli attentati all'aeroporto di Bruxelles-National e alla stazione della metropolitana di Maelbeek/Maalbeek, la polizia trovò 15 chili di perossido di acetone, 150 litri di acetone e 30 litri di perossido di idrogeno. L'occorrente, insieme a chiodi e viti, per confezionare le bombe che quel giorno ammazzarono 32 persone. In quelle stanze ci viveva uno dei terroristi, Ibrahim el Bakraoui.

"In Europa ci dobbiamo interrogare - ha commentato ieri sera Matteo Salvini - alcuni importanti pezzi di città sono totalmente fuori controllo, soprattutto a causa di una gestione dell'immigrazione e di un'integrazione evidentemente fallimentari". Forse qualcuno nei palazzi del potere europeo lo avrà anche fatto. Si sarà interrogato. E avrà intravisto i risultati di anni di accoglienza indiscriminata, mancata integrazione ed eccessivo lassismo. L'odio che continua a covare nelle nostre città e che monta, giorno dopo giorno, anche quando non se ne parla. A volte tracima in guerriglia urbana, come è successo ieri pomeriggio a Bruxelles. Altre in violenze di gruppo, come è successo a Colonia nel 2016 e in piazza Duomo a Milano l'anno scorso. O, peggio ancora, in attentati terroristici. La speranza è che prima o poi, oltre a interrogarsi, in quei palazzi del potere europeo passino all'azione e prendano dei provvedimenti.

Prima che sia troppo tardi.

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