La violenza e il male assoluto: così la generazione Bataclan ha perso l’innocenza

La sera del 13 novembre 2015 la nostra percezione di sicurezza è cambiata per sempre: il terrorismo ha cambiato l'Europa, e la mia generazione

La violenza e il male assoluto: così la generazione Bataclan ha perso l’innocenza
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Avevamo la stessa età, i ragazzi del Bataclan e io. All'epoca, dieci anni fa, facevamo le stesse cose. Il divertimento spensierato si abbinava a lavori non stabili. Così almeno ero io: ero libera da impegni familiari, ma soprattutto ero freelance, senza ganci lavorativi solidi. In qualche modo mi trovavo in una dimensione perfetta per me, che stavo cercando di capire che tipo di giornalista volevo diventare.

Ero a Parigi, per caso, la sera del 13 novembre 2015, a un paio di chilometri dal terrore che stava sconvolgendo l'Europa, e cambiando la nostra percezione di sicurezza per sempre. Il quotidiano con cui collaboravo all'epoca aveva saputo che mi trovavo lì. Quando arrivò la telefonata del caporedattore, come da copione mi buttai in mezzo alla strada per intercettare un taxi.

Le strade intorno al Bataclan erano transennate. La polizia era, come immaginabile, dappertutto. Un gendarme armato placò subito la mia intemperanza: visto che mi ero avvicinata troppo alla zona considerata ancora pericolosa, mi sollevò di peso e mi allontanò di un paio di metri. Non sapevo il francese, allora come oggi, ma non me la sentì di contraddirlo. I colleghi parigini mi guardarono malissimo: oggi farei come loro, anzi sicuramente peggio.

Le luci blu illuminavano le coperte isotermiche argentate sui sopravvissuti sulle barelle, pronte per essere trasportate sulle ambulanze, quando l'ex presidente francese François Hollande , che poco prima aveva parlato alla nazione, uscì per rivolgere qualche parola alla stampa e informare i cittadini di quello che aveva visto. I terroristi, io lo scoprì solo dopo, parlando al telefono con l'Italia, erano ancora in fuga mentre lui si rivolgeva a noi giornalisti e, tramite noi, ai suoi concittadini. Più che le sue parole, a bucare lo schermo fu il suo volto tesissimo, pallido. Sconvolto.

Era ormai notte inoltrata, i quotidiani italiani avevano ormai chiuso, quando mi avviai a piedi verso il posto in cui dormivo, in una Parigi deserta e terrorizzata. In una via laterale, vidi una scena che non dimenticherò più. La rivedo ogni volta che leggo qualcosa sul Bataclan, e mi costringe a interrompere la lettura dopo poche righe. Erano i superstiti di quella sera, che marciavano in fila ordinata, in silenzio, pronti a salire su un bus di linea che li avrebbe portati in ospedale.

Erano ragazzi che erano stati simili a me, ma i loro gesti comunicavano che da quella sera, loro ed io non potevamo essere più diversi. L’orrore a cui avevano assistito era ormai stato scolpito nei loro cuori e nelle loro menti. Attraverso di loro, anche io avevo visto il male assoluto.

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