La visita di Ahmed al-Sharaa a Washington è uno di quei momenti che superano i confini della cronaca per entrare nel territorio del simbolo. Per la prima volta nella storia contemporanea, un presidente siriano varca la soglia della Casa Bianca, chiudendo idealmente un cerchio che dal 2011 aveva visto la Siria trasformarsi da epicentro di una guerra civile a nodo irrisolto della diplomazia mondiale. Ma il viaggio di al-Sharaa, ex leader ribelle e con un passato jihadista, non è soltanto un evento politico: è una messinscena studiata nei minimi dettagli, un racconto visivo e comportamentale pensato per riscrivere un’immagine.
Al suo arrivo, il presidente siriano indossava un completo scuro con una cravatta rossa. È una scelta tutt’altro che casuale. Il vestito occidentale rappresenta la più netta delle rotture con il passato: nessuna traccia della divisa militare, quelle che fanno innervosire Trump, nessun richiamo all’iconografia dell’uomo di guerra. È un abito che parla di istituzioni, di smania di riconoscimento. La cravatta rossa — colore del potere, del coraggio, della presenza — trasmette la volontà di farsi vedere, di mostrarsi come interlocutore forte, non più come uomo da isolare. In quell’immagine, ripresa dai fotografi accanto al presidente statunitense, si legge un doppio messaggio: la Siria non è più un paria, e il suo leader non è più un comandante d’ombra, ma un capo di Stato pronto a sedersi al tavolo delle capitali. La sua barba è curatissima (rispetto a prima), il suo copricapo è scomparso come se non fosse mai esistito
L’incontro alla Casa Bianca sancisce così una metamorfosi personale e politica. Washington, che un tempo ne aveva messo una taglia sulla testa, ora lo riceve con gli onori dovuti a un capo di governo. È il trionfo della diplomazia come strumento di reinvenzione, ma anche una dimostrazione di pragmatismo americano: la Siria, pur tra mille contraddizioni, torna utile nel disegno di contenimento regionale, e la legittimazione di al-Sharaa diventa parte del calcolo.
La potenza simbolica di questa visita non si esaurisce nelle sale del potere. Nelle ultime ore, un video diffuso sui social mostra al-Sharaa su un campo da basket statunitense, alla maniera dei progressisti, impegnato in una partita informale con membri della delegazione siriana e funzionari americani. Le immagini — poco più che una clip virale — rimbalzano ovunque. Un ex leader ribelle che gioca a basket a Washington: il contrasto è talmente netto da diventare racconto. Il gesto appare semplice, quasi banale, ma carico di messaggi.
Il basket, sport di squadra e linguaggio universale, un ponte. Lì dove l’abito scuro comunica formalità e potere, il gioco racconta accessibilità e spontaneità. È un doppio registro che al-Sharaa e i suoi consiglieri sembrano aver costruito con cura: lo statista e l’uomo comune, il leader capace di dialogare nelle stanze ovattate del potere e, al tempo stesso, di calcare un parquet come un qualsiasi cittadino americano. Se la diplomazia contemporanea è fatta anche di immagini, quella palla arancione diventa un messaggio più eloquente di molti comunicati ufficiali: la Siria non è più soltanto un dossier di guerra, ma un paese che vuole fare propri i codici della cultura globale.
L’intera visita si muove dunque su più livelli simbolici. Da un lato, rappresenta il ritorno della Siria sulla scena internazionale dopo oltre un decennio di isolamento; dall’altro, incarna la trasformazione personale di un uomo che cerca di sostituire l’immagine del combattente con quella dello statista. Ma ogni simbolo porta con sé ambiguità. Per molti, la riabilitazione di al-Sharaa resta controversa: dietro la cravatta e i sorrisi rimangono le ombre del passato, e la “normalizzazione” rischia di apparire come un atto di convenienza più che di principio. Allo stesso tempo, il tentativo di avvicinarsi ai codici occidentali prima o poi potrà suscitare, in patria, reazioni contrastanti.
A suggellare il tutto, la benedizione paternalista della Casa Bianca:"È un leader molto forte", ha detto il presidente degli Stati Uniti ai giornalisti nello Studio Ovale dopo la visita di lunedì, aggiungendo: "Viene da un posto molto difficile, ed è un tipo duro. Mi piace. Vado d'accordo con lui... e faremo tutto il possibile per il successo della Siria".
Trump ha accennato al passato travagliato di Al-Sharaa, affermando: "Abbiamo tutti avuto un passato difficile, ma lui ne ha avuto uno difficile. E penso, francamente, che se non avessi un passato difficile, non avresti alcuna possibilità". Amen.