Manifestanti pro Palestina arrestati: il mondo arabo teme le proteste

Fin dall'inizio delle guerra a Gaza, decine di persone sono state arrestate in tutto il mondo arabo per aver preso parte a manifestazioni pro-Palestina che, per i governi locali, sono un fattore di destabilizzazione

Manifestanti pro Palestina arrestati: il mondo arabo teme le proteste
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Nonostante le denunce contro Israele e la solidarietà dichiarata alla popolazione di Gaza, i governi del Medio Oriente non vedono di buon occhio le manifestazioni pro-Palestina nei loro Paesi. Dall’inizio della guerra tra lo Stato ebraico e Hamas la rabbia dei cittadini arabi, espressa nelle piazze del mondo musulmano, si è scontrata con la repressione delle autorità.

Ciò che sta accadendo al popolo palestinese chiarisce il fondamento del problema per gli arabi di tutto il mondo: il problema è la tirannia”, ha dichiarato al New York Times Abdurrahman Sultan, 36enne del Kuwait che ha partecipato a varie proteste. Per decenni, infatti, gli arabi hanno collegato la lotta per il popolo palestinese a quella per aver maggiori diritti e libertà in patria. Le bandiere palestinesi erano comuni nelle grandi manifestazioni della “Primavera araba”. Dal Marocco all’Egitto e ai Paesi del Golfo, in molti hanno descritto il conflitto in corso nella Striscia di Gaza come lo scontro tra giustizia e oppressione, definendo gli accordi dei propri governi con Israele “moralmente fallimentari”.

In particolare, l’indignazione popolare ha preso di mira i patti di normalizzazione delle relazioni con lo Stato ebraico siglati da Marocco, Bahrein e Emirati Arabi Uniti, oltre al processo intrapreso dall’Arabia Saudita. “Se sei disposto a vendere questo, e a vendere quelle persone, a vendere te stesso, cosa c'è dopo? Cos'altro è in vendita?”, ha detto al quotidiano americano un cittadino emiratino. I governi che hanno sottoscritto protocolli d’intesa con Tel Aviv hanno definito le loro decisioni “un passo necessario” verso un maggior dialogo interregionale e la tolleranza religiosa, ma non sono riusciti a domare completamente la rabbia del popolo.

La repressione delle manifestazioni in sostegno al popolo di Gaza è dunque collegata al timore che queste possano mettere a rischio la tenuta dei regimi. Le autorità egiziane hanno arrestato decine di persone durante le proteste di aprile e ottobre, nonostante queste ultime fossero state organizzate dallo stesso governo del generale Al-Sisi. “Oggi protestano per la Palestina, domani potrebbero protestare contro di lui, il presidente”, ha commentato Nabeh Ganady, avvocato per i diritti umani che rappresenta 14 attivisti finiti in manette durante una manifestazione al Cairo. In Marocco, decine di persone stanno affrontando processi per la loro partecipazione alle proteste pro-Palestina o per aver criticato sui social media il riavvicinamento tra il regno e Israele.

Situazione simile anche in Giordania, dove secondo Amnesty International circa 1.500 persone sono finite in manette per aver espresso il loro sostegno alla causa palestinese. Il presidente del Senato di Amman ha dichiarato che il Paese “non accetterà che manifestazioni e proteste si trasformino in piattaforme di discordia”. In Arabia Saudita ed Emirati, invece, la paura di dure misure repressive ha ridotto notevolmente qualsiasi accenno di opposizione. La realtà è che, al di là dell’odio della popolazione verso Israele, i vantaggi di una collaborazione con lo Stato ebraico sono troppi perché i governi arabi possano ignorarli.

Oltre a guadagni dal punto di vista dell’economia e della stabilizzazione della regione, infatti, molti Stati del Golfo guardano all’Iran come al vero pericolo e la logica del “nemico del mio nemico” ha spianato la strada ad accordi di normalizzazione che, seppur invisi alle masse, sembrano essere la via maestra del futuro delle relazioni tra mondo islamico ed ebraico.

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