L’Unione Europea compie un passo decisivo nel rafforzamento della propria difesa comune con la presentazione del nuovo pacchetto sulla mobilità militare, che punta alla creazione di una sorta di “Schengen militare”.
L’obiettivo è chiaro: consentire il movimento rapido e coordinato di truppe, mezzi e attrezzature attraverso i confini europei, riducendo ostacoli burocratici e colli di bottiglia logistici che, negli ultimi anni, hanno evidenziato limiti strutturali di fronte a crisi improvvise e tensioni crescenti sul fronte orientale.
Il piano, presentato a Bruxelles dalla Commissione europea e dall’Alto rappresentante, prevede procedure uniformate e tempi certi per l’autorizzazione dei transiti, così da garantire la capacità di risposta in caso di emergenze militari o minacce ibride. La mobilità dovrà diventare rapida quanto lo spostamento di persone nell’area Schengen, una trasformazione che comporta anche la messa a sistema di infrastrutture già esistenti. Strade, ferrovie, ponti, porti e aeroporti verranno infatti adattati agli standard necessari per consentire il passaggio di convogli pesanti, con un’attenzione particolare ai corridoi che collegano il cuore dell’Europa ai confini orientali.
"Oggi, per spostare equipaggiamento militare e truppe, diciamo da ovest a est, purtroppo ci vogliono mesi", ha affermato Apostolos Tzitzikostas, Commissario europeo per i trasporti sostenibili e il turismo. "Quello che vogliamo fare è farlo nel giro di pochi giorni". "Non si può difendere un continente se non ci si può muovere al suo interno", ha dichiarato. Una delle misure chiave sarà l'accelerazione delle procedure di autorizzazione per la mobilità militare transfrontaliera. Attualmente, le norme sul tema non sono armonizzate, e alcuni impiegano settimane per rispondere a una richiesta di un altro Paese dell'UE di spostare truppe e equipaggiamenti. La Commissione ora esige che tale termine venga ridotto a un massimo di tre giorni in tempo di pace e a sole sei ore in caso di emergenza, presumendo che in quest'ultimo caso venga concesso.
Questa riforma arriva in un momento in cui la guerra in Ucraina ha dimostrato quanto la velocità di dispiegamento e la capacità logistica siano essenziali per qualunque strategia difensiva credibile. All’interno delle istituzioni europee, la convinzione che la sicurezza del continente non possa più dipendere esclusivamente dagli Stati Uniti si è fatta più forte. Di conseguenza, Bruxelles non punta solo a snellire le procedure di mobilità, ma intende anche rilanciare la propria industria della difesa con una tabella di marcia che guarda al 2030. Il piano prevede investimenti significativi in tecnologie emergenti – dall’intelligenza artificiale ai sistemi autonomi, dalla cyber-difesa alle capacità spaziali – e una graduale armonizzazione dei programmi militari dei singoli Stati.
Le cancellerie europee hanno accolto il progetto con un misto di sostegno e prudenza. Da un lato, c’è consenso sulla necessità di potenziare la capacità di reazione dell’UE; dall’altro, rimane il nodo delle sovranità nazionali, soprattutto in tema di autorizzazioni militari e utilizzo delle infrastrutture strategiche. Molti governi temono inoltre che l’ambizione europea richieda investimenti molto superiori a quelli finora messi in campo e che la messa in rete delle produzioni industriali possa penalizzare alcuni settori nazionali. Tuttavia, la crescente consapevolezza delle vulnerabilità europee sta convincendo vari Stati membri dell’urgenza di compiere un salto di qualità, soprattutto nel contesto della nuova competizione globale sulle tecnologie militari.
Per Paesi come l’Italia, il progetto apre uno scenario complesso ma potenzialmente favorevole. La posizione geografica la rende un nodo naturale dei collegamenti tra Mediterraneo e spazio euro-atlantico, e potrebbe quindi assumere un ruolo centrale nelle nuove rotte della mobilità militare.
Al tempo stesso, il sistema industriale nazionale potrebbe beneficiare della spinta europea verso l’innovazione, entrando in filiere integrate più competitive. Ma tutto dipenderà dalla capacità di adeguare rapidamente infrastrutture e quadro normativo, oltre che dalla volontà politica di investire in modo coerente con le ambizioni europee.