Viktor Smagin, uno degli ultimi eroi di Chernobyl in vita, ha deciso di porre fine alle sue sofferenze suicidandosi all'età di 75 anni.
Un gesto eroico, il suo, quello compiuto dopo la tremenda esplosione del 26 aprile 1986: l'ingegnere fu tra i primi ad accorrere sul posto e a intervenire in prima persona per limitare i danni e tentare, per quanto possibile, di porre rimedio alle conseguenze del disastro. Quella decisione comportò delle inevitabili ripercussioni sulla sua salute, dato che per quasi 40 anni Smagin ha dovuto affrontare numerose diagnosi di tumore: all'ultima ricevuta, tuttavia, l'ex ingegnere non ha retto e si è tolto la vita, lanciandosi nel vuoto da una finestra del palazzo in cui viveva a Mosca.
Il 26 aprile del 1986 Viktor Smagin sarebbe dovuto entrare in servizio alle 8.00 del mattino, ma fu risvegliato dalla terribile esplosione del reattore numero quattro. Quelle immagini che l'ingegnere vide dal 14esimo piano del suo appartamento lo spinsero a precipitarsi alla centrale di Chernobyl per dare il suo contributo. La prolungata esposizione ebbe delle pesanti conseguenze, dato che l'ingegnere fu colpito da cancro da radiazioni: dopo la tremenda diagnosi, nel corso degli anni l'uomo ha dovuto affrontare sette interventi chirurgici. Nonostante i ricoveri e le visite in vari centri specializzati, tuttavia, Smagin non riuscì mai ad avere la meglio sulla malattia.
Smagin ha raccolto le sue memorie per raccontare quei tragici momenti che hanno cambiato per sempre la vita sua e quella degli altri "liquidatori" che quel giorno si prodigarono per dare il proprio contributo dopo l'incidente di Chernobyl. "Dentro gli edifici la gente combatteva il fuoco. Non c'era panico, ognuno stava semplicemente facendo il proprio lavoro", scrive l'ingegnere. "Il personale ha spento l'incendio e ha drenato l'olio in contenitori sotterranei; gli elettricisti hanno scaricato l'idrogeno. Molti di coloro che hanno salvato la stazione hanno ricevuto dosi letali di radiazioni e poi sono morti in ospedale".
La popolazione di Pripyat fu evacuata il giorno successivo, ma il personale non poteva lasciare la città, dato che c'era ancora del lavoro da fare sulla centrale. "Quasi nessuno si è arreso, anche se è stato spaventoso", ricorda l'ingegnere. "Su 5mila solo sei o sette persone fuggirono, e questo nonostante che tutti fossero professionisti e sapessero perfettamente cosa fossero le radiazioni". Tanti di quei liquidatori sono morti per compiere il proprio dovere: anche Smagin ha ricevuto un'onorificenza per il suo prezioso contributo, ma la sua esistenza, così come quella degli altri colleghi sopravvissuti, non è stata più la stessa.
L'ultima diagnosi è stata devastante, e l'ex ingegnere ha deciso di togliersi la vita dopo aver lasciato una lettera ai suoi
familiari. "Miei cari: Larisa, Dima e Sveta! Ora è il momento di salutarci. Grazie mille per gli anni che abbiamo vissuto insieme. È stata felicità. Mi dispiace!", ha scritto l'uomo prima di lanciarsi nel vuoto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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