Cronaca internazionale

Tre anni dalla morte di George Floyd: cos'è cambiato negli Usa

Dalla follia di "Defund the Police" alla misure per prevenire e arginare la violenza della polizia: ecco cos'è cambiato dopo la morte di George Floyd in tre anni

Tre anni dalla morte di George Floyd: cos'è cambiato negli Usa
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È il 25 maggio 2020 quando a Minneapolis la storia degli Stati Uniti d'America prende una piega drammatica. Mentre i media sono impegnati a raccontare l'andamento della pandemia da Covid-19, intorno alle 20 di quel giorno, accade uno di quegli eventi destinati inevitabilmente a lasciare il segno: tra la East 38th Street e la Chicago Avenue della metropoli del Minnesota, infatti, George Floyd, afroamericano nato a Fayetteville, in North Carolina, e cresciuto a Houston, Texas, disoccupato a causa della pandemia con alle spalle alcuni precedenti penali, viene brutalmente assassinato dall'ufficiale di polizia Derek Michael Chauvin dopo che il commesso di un negozio aveva chiamato il 911 sospettando che l'afroamericano avesse usato una banconota contraffatta per pagare un pacchetto di sigarette.

La scena - raggelante - dell'agente Chauvin che gli impedisce di respirare tenendo il ginocchio sul collo per 9 minuti e 29 secondi, filmata da alcuni passanti, fa il giro mondo e provoca un'ondata di indignazione contro il razzismo e la violenza della polizia in tutto il Paese, mentre le ultime drammatiche parole dell'arrestato a terra ne diventano lo slogan-manifesto: "I Can't breathe", "Non riesco a respirare". La morte di Floyd a Minneapolis ha infatti ricordato quanto accaduto a Ferguson nel 2014, quando un poliziotto ha sparato e ucciso un altro afroamericano, il 18enne Michael Brown. Con la differenza fondamentale che la morte di George Floyd ha avuto un impatto mediatico dirompente e delle conseguenze politico-sociali estremamente rilevanti rispetto al passato, grazie anche all'azione del movimento Black Lives Matter, vero motore delle proteste in tutto il Paese.

Cosa hanno provocato le manifestazioni

Di buone intenzioni è lastricato l'inferno, si dice. Dalla sacrosanta protesta contro la brutale violenza della polizia statunitense ne è nato il movimento "Defund the police", divenuto altresì lo slogan più usato dai manifestanti di Black Lives Matter. Uno slogan di cui, a 3 anni di distanza, non è rimasto nulla. Basti pensare al caso di Seattle, che è stata una delle prime città, negli Stati Uniti, a tagliare il budget alla polizia. Quell’onda motiva, cappeggiata proprio da Black Lives Matter, è stata cavalcata nella “città smeraldo” da innumerevoli associazioni appartenenti alla sinistra radicale che hanno siglato l’appello al fine di chiedere al consiglio comunale cittadino di tagliare i fondi alla polizia del 50% e di riassegnare gli stessi ai sistemi sanitari e di sicurezza della comunità, nonché di liberare i manifestanti incarcerati durante le proteste antirazziste. Come se si potesse rinunciare a uno strumento necessario per il presidio del territorio come la polizia.

Il tragico bilancio di Defund the police

Cedere alle pressioni dei manifestanti antirazzisti non è stata una buona idea. I dati parlano chiaro: gli episodi di criminalità violenta nel corso 2021 sono aumentati del 20% a 721 crimini ogni 100mila persone, il dato più alto dal 2001 secondo i registri dell'Fbi. E nel 2022 è andata persino peggio, secondo i dati diffusi dal dipartimento di Polizia a Seattle poiché i crimini violenti e i furti d'auto a Seattle sono stati i più alti degli ultimi 15 anni. Vale a Seattle come in tante altre città americane come a Portland, Oregon, dove dal 2020 in poi il dipartimento di polizia della città ha perso più di 230 agenti giurati a causa di pensionamenti o dimissioni per via dei tagli al budget. Certo, non è l'unica causa dell'aumento della criminalità - la pandemia e le ricadute sociali ed economiche delle chiusure sono forse al primo posto - ma è indubbio che togliere risorse ai dipartimenti di polizia che presidiano il territorio è stato deleterio.

Del "flop" di Defund the police" si è discusso di recente anche al Congresso. Giovedì scorso la Camera ha approvato una risoluzione presentata dai repubblicani che condanna i recenti tentativi di ridurre o abolire la polizia, nonostante le obiezioni di più della metà dei dem. Tale risoluzione, riporta Fox News, riconosce la "dedizione e la devozione dimostrata dagli uomini e dalle donne delle forze dell'ordine locali che mantengono sicure le nostre comunità" e "condanna gli appelli a ridurre, sciogliere, smantellare o abolire la polizia". Iniziativa simbolica, sicuramente: ma il dato più interessante è che se la stessa risoluzione fosse stata presentata nel periodo di massima tensione con i manifestanti sarebbe scoppiato il finimondo: oggi, al contrario, è passata nel silenzio assordante della maggior parte degli organi d'informazione statunitensi.

Le misure adottate per prevenire le violenze della polizia

Dalla morte di George Floyd le autorità statunitensi hanno adottato diverse migliorie per evitare il ripetersi di episodi violenti ai danni di cittadini afroamericani, ma non solo. Molte città hanno infatti approvato misure per cambiare il modo di operare degli agenti, tra cui leggi che regolano la de-escalation - l’uso da parte degli operatori di polizia di tecniche e tattiche comunicative volte a saper gestire il confronto con un soggetto pericoloso-armato - che limitano l'uso della forza e che vietano la tecnica che ha soffocato e ucciso Floyd, la "knee-to-neck-move", che consente agli agenti di trattenere il collo dei sospetti quando sono aggressivi o resistono all'arresto. Queste misure, prese insieme, spiega il New York Times, "rappresentano la più ampia richiesta di trasformazione delle forze di polizia nella storia della nazione".

Tra le misure adottate, in molte città Usa, anche l'obbligo per i poliziotti di indossare la "body camera" in maniera tale da poter visionare i filmati nel caso di gravi incidenti o di morti sospette. E questa è sicuramente una vittoria. La seconda riguarda invece il piano giudiziario, non meno rilevante: nel luglio 2022, infatti, l'ex agente della polizia di Minneapolis Derek Chauvin è stato condannato a oltre 20 anni di carcere in una prigione federale per aver violato i diritti civili di Floyd, mentre gli altri tre ex ufficiali coinvolti nella morte dell'afroamericano - Kiernan Lane, Alexander Kueng e Tou Thao - sono stati accusati di favoreggiamento in omicidio colposo. Questo non riporterà indietro George Floyd ai suoi cari, ma almeno possiamo affermare che la sua morte non è stata vana e che, pur nella tragedia, ha rappresentato uno spartiacque importante nella storia degli Stati Uniti.

Da cui non si torna indietro.

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