
Cosa succederà domattina a scuola? «Cosa dirò ai ragazzi e cosa mi diranno?». Non ci sono polemiche o atti d’accusa nelle parole di questa «prof», che si chiama Laura Vergallo Levi (foto). C’è smarrimento per il messaggio d’odio che è risuonato nella sua scuola, il liceo Virgilio di Milano, quello che venerdì ha ospitato una delirante assemblea d’istituto che era dedicata alla guerra - anzi al «genocidio» - e si è trasformata in una grande inquisizione contro Israele, e in una sorta di diagnosi sul popolo ebraico. Un processo inquisitorio, senza neanche avvocati difensori, in cui Giovani palestinesi, invitati senza neanche un nome, senza particolari qualifiche, hanno giustificato o minimizzato il 7 ottobre. Una mattinata di parole in libertà, in cui il presidente di Arci Milano Maso Notarianni, è arrivato a dire che il «popolo ebraico non è riuscito a spezzare la catena del dolore», e che «riprodurre un dolore che si è subito è un sintomo di una malattia, non è normale» (salvo poi fare mezza marcia indietro). Sono parole di stupore e dolore, quella dell’insegnante di letteratura inglese Vergallo Levi.
«La scuola - dice - ha lasciato porte aperte a chi portava un messaggio di odio. Si è permesso che dalla cattedra dell’aula magna si dicesse che noi ebrei siamo malati e abbiamo bisogno di aiuto». «Prima dell’incontro - racconta - avevo chiesto che ci fosse un contraddittorio. Avevo anche domandato dei chiarimenti sui “giovani attivisti palestinesi” che avrebbero preso la parola, ancora non noti meno di 24 ore prima dell'evento. La libertà di parola è sacra a noi tutti - osserva - ma ha dei limiti? O si può dire tutto ciò che vogliamo? Una esponente dei Giovani palestinesi ha affermato che Israele stupra i prigionieri con i cani». «Chissà cosa hanno pensato le famiglie di un simile incontro a cui hanno assistito degli adolescenti». E si rivolge al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, l’insegnante. «Ministro, oggi il mio problema è un altro.
Lunedì in quella scuola ho la prima ora. Come farò a entrare in classe, col mio sorriso e la mia Stella di Davide al collo, e parlare ai miei studenti di libertà, del ruolo del letterato impegnato, di Orwell, dei totalitarismi? Io che insegno loro la poesia della Prima Guerra mondiale, l'orrore di tutti i conflitti, anche questo, ho sentito dire, dalla cattedra dell'aula magna, che “il conflitto è sano”. Io che insegno la potenza di una pagina di letteratura, ho sentito evocare la distruzione di uno Stato. Io, che invito a considerare le singole persone e non i gruppi di appartenenza, ho scoperto di appartenere a un popolo malato».