"Quel patto tra Chiesa, Stato e criminalità". Spunta un nuovo documentario su Emanuela Orlandi

Il filmato, realizzato dal fratello Pietro, insieme alle nipoti Elettra e Rebecca, e a Alessandra e Emanuele De Vita, ripercorre l’intera vicenda tra ricordi e lacrime

"Quel patto tra Chiesa, Stato e criminalità". Spunta un nuovo documentario su Emanuela Orlandi
00:00 00:00

Quarantadue anni in quarantadue minuti. E ha appunto il titolo di “42”, il documentario sul rapimento di Emanuela Orlandi realizzato da Elettra e Rebecca Orlandi, Alessandra ed Emanuele de Vita. “‘42' non è un documentario di inchiesta ma sulla ricerca della verità e sul tema del ‘tempo’, il nemico più grande per tutte le famiglie che vivono la nostra stessa situazione”, scrive Pietro Orlandi sul suo profilo Facebook, annunciando che il filmato è disponibile su YouTube.

È proprio Pietro Orlandi - oggi volto di una lotta che però coinvolge da sempre tutta la famiglia - a parlare in prima persona in “42”, mentre scorrono le immagini di Emanuela bambina e ragazzina spensierata: Pietro ricorda come associassero la Città del Vaticano in cui vivevano alla sicurezza di una casa. E di come, prima della scomparsa, lui e la sorella stessero studiando insieme il Notturno di Chopin, uno spartito che ancora aspetta il ritorno di Emanuela.

Così Pietro Orlandi torna a quel 22 giugno 1983, parlando di come avesse interpretato con ingenuità la presunta proposta di lavoro giunta alla sorella, la proposta di un uomo di fare volantinaggio per un’azienda cosmetica per una somma di denaro consistente per l’epoca e per una 15enne. “La mia ipotesi personale, che resta un’ipotesi perché non è avvalorata da nulla, è che nell’attesa Emanuela ha incontrato questa persona, che le ha detto ‘Guarda, ho lasciato il materiale nella basilica di Sant’Apollinare’”, chiarisce Pietro.

Il quale ricorda come il rettore della basilica - che Emanuela conosceva bene, dato che la scuola di musica che frequentava era nello stesso complesso - fosse monsignor Pietro Vergari, per un periodo indagato per concorso in sequestro.

Secondo Pietro Orlandi, “dietro la vicenda di Emanuela, chi o cosa occultasse la verità fosse quel sistema che lega Stato, Chiesa e criminalità”, aggiunge rievocando la telefonata giunta a “Chi l’ha visto?” nel 2005 per segnalare che nella basilica fosse sepolto il boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis detto Renatino. Che De Pedis sapesse o avesse avuto un ruolo nella scomparsa di Emanuela Orlandi era stato raccontato dalla defunta Sabrina Minardi, sua ex amante, non creduta dagli inquirenti.

Dopo pochi giorni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, papa Giovanni Paolo II fece un appello all’Angelus: parlò per la prima volta di rapimento e fece riferimento a più persone. Due giorni più tardi giunse la prima chiamata con le presunte richieste dei rapitori: si chiedeva la liberazione di Mehmet Alì Agca, che nel 1980 aveva attentato alla vita del pontefice. Orlandi ha scoperto solo da qualche anno che il 22 giugno 1983, tra le 20 e le 21, giunse una telefonata dei ricattatori alla sala stampa del Vaticano, e venne chiesto di parlare con il segretario di Stato. Pietro Orlandi rievoca le parole pronunciate in punto di morte dal padre (“Sono stato tradito da chi ho servito”), parole che per lui rappresentano una prova di possibili responsabilità del Vaticano.

Tra i ricordi dolorosi, che lo spingono a fermare la sua narrazione, tra lacrime di rabbia, Orlandi racconta di quando nel 1993 la famiglia andò in Lussemburgo: in un convento di clausura venne effettuato un blitz per riportare a casa una presunta Emanuela Orlandi, che si è rivelata essere un’altra persona.

La giovane fu fatta incontrare alla madre: “È bastato uno sguardo per capire che bisognava ricominciare tutto da capo - ha spiegato Pietro Orlandi - in quel momento non ho avuto neanche la forza di piangere”.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica