Antimafia-TikTok, ecco il protocollo contro chi inneggia ai boss

I clan usano i social per conquistare nuove leve, con video, canzoni ed emoji. Ecco come sventare il pericolo

Antimafia-TikTok, ecco il protocollo contro chi inneggia ai boss
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La lotta alla mafia passa per i social network, dove le organizzazioni criminali si "raccontano" e cercano proseliti tra i ragazzi più giovani, senza mediazioni. Tanto che la commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, ha deciso di stringere un'alleanza con una delle piattaforme più usate dai giovanissimi per contrastare queste forme di proselitismo.
Di mafia non si parla mai abbastanza, la guerra sotterranea tra magistratura vecchia e nuova a caccia dei veri responsabili della stagione stragista dei primi anni Novanta non aiuta la chiarezza, né certe battaglie di retroguardia a difesa di chi ha indagato a lungo piste affascinanti ma nate morte solo a scopi politici.

In questo caos i boss ci sguazzano, anzi giocano a sfidare lo Stato e a promuovere la propria identità criminale, denigrando chi è morto per combatterla. L'altro giorno a Palazzo San Macuto è stato firmato un Protocollo di intesa con TikTok Italia, che ha 23 milioni di iscritti, e l'Antimafia. "Mentre si racconta di una mafia che non spara più e che si occupa sempre piu' di affari, la reazione emotiva alle stragi degli anni passati si va affievolendo e i ragazzi non solo non restano lontani da certi fenomeni ma sembrano addirittura subire una sorta di fascinazione del male, alimentata dalla retorica dei soldi facili, denuncia la Colosimo. L'obiettivo del protocollo da un lato è sostenere TikTok nella limitazione delle immagini che vengono divulgate e dall'altro invitare i ragazzi a fare la propria parte", sottolinea Colosimo che a sua volta ha ora deciso di sbarcare su TikTok dove "segnalerò i contenuti che a mia volta mi verranno segnalati".

Che i social siano il nuovo ufficio di collocamento delle mafie lo sostiene anche un recente report - Le mafie nell’era digitale, che Marcello Ravveduto, professore di public and digital history dell’Università di Salerno - il mafioso diventa un personaggio che racconta la sua vita come in un reality costruito sull’estetica del potere. I nuovi adepti sono "mafiofili", affascinati dalle dinamiche spregiudicate, vere o verosimili tipo Gomorra, in cui soldi, donne e potere arrivano senza studiare e senza lavorare, come denuncia da tempo anche il mass mediologo antimafia Klaus Davi. È una post-verità che mescola miti e algoritimi, leggende e personaggi veri, in cui la mafia viene esibita come un marchio. Come Emanuele Sibillo, il capo della “paranza dei bambini”, ucciso nel 2015 a 20 anni, diventato una sigla, Es17.

Secondo Ravveduto tra i video che inneggiano alla vita da mafioso ci sono le scarcerazioni, le riprese live degli arresti, la vita delle persone ai domiciliari, i reel delle mogli che vanno a trovare i mariti in carcere, l’utilizzo nei post di specifici hashtag, brani musicali o emoji come la catena (rappresenta il legame con il clan), il leone (il capo), la siringa (la vendetta), il ninja (la lotta armata) e il cuore azzurro (il sangue blu della nobiltà), ma anche i video accompagnati da canzoni con testi che parlano di bambini pronti a morire e di polizia da combattere, oggi affollano i social network quasi indisturbati.
TikTok fa sapere di rimuovere "proattivamente il 97,1% dei contenuti che violano le policy relative a comportamenti violenti o criminali, con l'81,2% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni.

Per quanto riguarda le organizzazioni violente e che incitano all'odio, TikTok rimuove proattivamente il 99,1% dei contenuti che violano le policy, con il 70,6% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni". Ma questo non basta: dopo aver inquinato l'economia legale la mafia sta conquistando anche i social network.

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