Delitto di Cogne, la verità di Carlo Taormina su Annamaria Franzoni

Il professore: "Io so tutto, so che è stata Annamaria Franzoni a uccidere il figlio. Ciò che emerge dai processi è un solo dato: per soli 10 minuti non è stata assolta"

Delitto di Cogne, la verità di Carlo Taormina su Annamaria Franzoni

“L’opinione pubblica, ancora oggi, è divisa tra un 50% di colpevolisti e un 50% di innocentisti. Io so che non è stata Annamaria Franzoni a uccidere il figlio Samuele Lorenzi, so tutto. Ciò che emerge dai processi è un solo dato: per soli 10 minuti non è stata assolta”. A dirlo è il professor Carlo Taormina, avvocato ed ex membro della Camera dei Deputati, difensore di Annamaria Franzoni nei primi due gradi di giudizio, ospite del programma “Incidente Probatorio - Cronache d’estate”, in onda sul canale 122 Fatti di Nera.

La mattina del 30 gennaio 2002, a Cogne, in Valle d’Aosta, si consumò il dramma. Annamaria Franzoni svegliò Davide, il primogenito, che doveva andare a scuola. Prima di uscire, Samuele, il più piccolo, si era già svegliato. In pochi minuti la madre accompagnò il figlio maggiore alla fermata dello scuolabus, mentre il più piccolo restò da solo in casa. Al suo rientro, Annamaria Franzoni chiamò disperata il 118, urlando: “Samuele sta male, perde sangue dalla bocca”. Alle 8:51 un elicottero era già nel giardino della villetta di montagna. Alle 9:55 Samuele Lorenzi venne dichiarato morto all’ospedale di Aosta. In quel buco di alcuni minuti si insinuarono i mille dubbi degli investigatori, fino alla prima svolta. Il 31 gennaio, l’autopsia stabilì con certezza che Samuele non era morto per un malore, ma per aver ricevuto 17 colpi alla testa con un oggetto rimasto ignoto. Nel frattempo Cogne era stata invasa dai giornalisti: il caso era diventato di portata nazionale. Nonostante il racconto della madre, che sostenne che qualcuno potesse essersi introdotto in casa e aver ucciso Samuele nel letto, le indagini si concentrarono immediatamente proprio su Annamaria Franzoni, l’unica presente in casa quel giorno. Arrestata e scarcerata in pochi giorni per mancanza di prove, dopo il processo di primo grado Annamaria Franzoni fu condannata a 30 anni di carcere, pena ridotta in appello a 16 anni di reclusione, con ulteriori riduzioni per indulto e buona condotta. Ora è libera da tempo, dopo aver trascorso alcuni anni in carcere e poi agli arresti domiciliari.

“Io assunsi la difesa dopo il primo interrogatorio – ha spiegato il professor Taormina –: chi mi aveva preceduto aveva provato a farla confessare. Invece, il padre di lei mi chiese di difenderla e il professor Grosso si rifiutò di affiancarmi nella difesa. Ricordo che, dopo la Cassazione, Annamaria Franzoni stava per essere arrestata nuovamente, ma aveva un altro bambino e i giudici ordinarono una perizia che stabilì che non era pericolosa per il secondo figlio, tornò a casa e concepì il terzo. Nessuno sa che la Franzoni è stata sottoposta a due perizie psichiatriche: in primo grado fu giudicata capace di intendere e di volere. Per la seconda perizia fu nominato un collegio presieduto da Ugo Fornari, luminare mondiale di psichiatria, che mi convocò nel corso degli accertamenti per comunicarmi che, quando aveva commesso il fatto, non era in grado di intendere e di volere. Questo nonostante la Franzoni mi ribadisse di essere innocente e di non volere alcuna perizia. Lei fu dichiarata parzialmente incapace di intendere e di volere, ma la Corte d’Appello lo escluse”.

Secondo l’avvocato Taormina, però, “il tema rimasto sempre un’incognita è l’ora della morte del bambino, che fu anticipata di 10 minuti rispetto a quanto stabilito, perché in quel momento Annamaria Franzoni non era in casa e aveva accompagnato l’altro figlio alla fermata. Quando venne fuori che la possibile arma del delitto poteva essere un sabot o uno scarpone, due oggetti che si trovavano nell’armadietto davanti al letto, c’era qualcuno dell’entourage che voleva puntare su questo, ma il problema è che lo scarpone e il sabot stavano proprio lì vicino al letto, quindi non è che uno sconosciuto entra in casa e lo sa. Io mi sono imposto ed ho rinunciato alla difesa. La famiglia era convinta dell’innocenza come me, io tecnicamente dovevo fare tutto, quindi chiesi le attenuanti generiche e la perizia, e i risultati dell’appello sono i risultati del mio ricorso”. Tra i temi trattati, anche i dubbi sulla porta secondaria, rimasta aperta o chiusa. “L’inchiesta di Garlasco è stata condotta dagli stessi di Cogne, in un’epoca di sperimentazione scientifica che ha evidenziato problemi rilevanti – ha precisato Carlo Taormina –: ad esempio, Annamaria Franzoni aveva lasciato la porta aperta e sul gradino c’erano delle impronte, degli imbrattamenti ematici, che non appartenevano a Samuele e che nessuno, i Ris di Parma e Garofano in testa, ritenne di dover confrontare. Quello era l’ingresso laterale che dava direttamente sulla strada. A Cogne ci fu la prima applicazione di alcune analisi (pattern analysis plot), che hanno avuto un ruolo probatorio decisivo, nonostante negli Stati Uniti non si possa andare in aula con quei risultati. Invece, in Italia, quelle analisi possono assumere un ruolo di prova, come ha detto la Cassazione. Siccome la plot è uno studio delle tracce, una branca della fisica, sul letto dov’era stato ucciso il bambino c’era una zona bianca sulla quale era complicato discutere. Visto che i Ris di Parma avevano fatto tutti i rilievi come consulenti dell’accusa, io chiesi di poter incaricare di una controperizia la Polizia Scientifica. Non c’è una norma che lo esclude, ma mi risposero che loro potevano lavorare solo col pubblico ministero. Io vi assicuro che Bui era pronto a farla, perché non era d’accordo con la ricostruzione del Ris. Sull’incarico ai Ris di Parma intervenne anche la Corte dei Conti che non condivideva la scelta di nominarli come consulenti”.

Tutti ricordano il delitto di Cogne che “fu il primo vero caso mediatico – ha confermato Taormina –: ma soprattutto si è trattato della prima volta in cui la tecnologia entra in un’indagine e viene esibita in quel modo. Ovviamente non l’ho esibita io, ma gli organi pubblici di investigazione. Io mi sono trovato coinvolto, se non si controbatteva, ero perdente in partenza.

Ho partecipato a tante trasmissioni, Porter a Porta, e ogni volta ero sempre spiazzato: se non avessi urlato, sarei stato sempre sconfitto. La responsabilità di ciò che succedeva in tv la davano a me, invece io ero solo un contraddittore”.

La puntata sul delitto di Cogne è disponibile in streaming su Cusanomediaplay.it

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